Emozioni e patrimonio

A colloquio con la direttrice aggiunta del Laténium di Hauterive, per parlare di una recente attività proposta dal museo romando
/ 13.07.2020
di Marco Horat

I mezzi di comunicazione hanno stabilito da tempo un rapporto di interazione con il loro pubblico attraverso lettere o telefonate, quasi a voler sovvertire la base stessa del principio comunicativo che prevede l’emissione di un messaggio a senso unico da un’emittente unica verso una molteplicità di fruitori.

La stessa cosa ha fatto recentemente il Laténium di Hauterive. Il museo infatti nel 2018 aveva lanciato una proposta alla popolazione all’insegna delle «Emozioni patrimoniali. L’archeologia svizzera nella memoria collettiva», in collaborazione con l’Istituto di archeologia dell’Università di Neuchâtel e il sostegno del Fondo nazionale della ricerca. In seguito ha allestito una grande esposizione e ora pubblica in Internet i risultati di quella sfida, con la possibilità aperta a tutti di contribuire ulteriormente alla raccolta. L’indirizzo web a cui fare riferimento è: https://notrehistoire.ch/@emotions. Ne parliamo con Géraldine Delley, direttrice aggiunta del Laténium.

Signora Delley, ci spiega gli obiettivi di questa iniziativa?
L’idea era ed è rispondere in modo costruttivo a una tendenza sempre più marcata, cioè lo scollamento tra società civile e archeologia. Si è creata una frattura: da una parte stanno gli archeologi, gli specialisti che detengono il sapere, mentre dall’altra c’è il grande pubblico chiamato a fare unicamente da spettatore: prendendo atto di una scoperta o visitando una mostra. Gli esperti non devono perdere di vista che il patrimonio del quale si occupano e che hanno il compito di studiare e valorizzare appartiene a tutta la società, non è cosa loro. D’altra parte il patrimonio archeologico e storico necessita di un riconoscimento collettivo per continuare ad esistere, altrimenti sarebbe lettera morta.

Non possono vivere l’uno senza l’altro, insomma. Voi come specialisti avete fatto la vostra parte e vi siete messi in gioco. Al pubblico invece cosa avete chiesto?
Abbiamo chiesto alla popolazione di inviarci fotografie nelle quali le persone fossero riprese accanto a vestigia storiche o monumenti archeologici più o meno importanti. Unitamente alle immagini si chiedeva anche di raccontare quali fossero i loro ricordi in relazione a quei momenti immortalati: aneddoti, emozioni, sensazioni suscitate dalla visita a quelle vestigia. Con nostra grande sorpresa insieme agli scatti fotografici e ai commenti sono cominciati ad arrivare video, films d’animazione, commenti registrati in voce e persino oggetti archeologici e personali legati al luogo ricordato nella foto.

Così la mostra al Laténium che si è conclusa, strutturata in quattro momenti (stimolante il tema della nostalgia, vista come «presenza dell’assenza») che avete ambientato non a caso in un immaginario appartamento in rovina che obbligava il visitatore a riflettere sul suo rapporto con le vestigia del passato.
Abbiamo lavorato su oltre 400 immagini reali e virtuali e altrettanti commenti, spesso ricchi di spunti interessanti e toccanti, che parlano dello stretto rapporto tra i luoghi storici del paese e la vita delle persone, a formare una memoria collettiva. Qualcuno per esempio ci faceva notare come grazie a questa iniziativa avesse recuperato ricordi lontani e ne avesse reso partecipi figli, nipoti e amici che aveva perso di vista; una riattivazione dei rapporti sociali insomma, compresi quelli generazionali. Altri ci hanno confidato di aver riaperto i loro vecchi album di fotografie. È un dato sociologico interessante perché documenta un tratto di cultura materiale un tempo diffuso e oggi in via di sparizione poiché tutti fanno foto digitali. Gli album in genere non vengono tramandati dalle famiglie e così verranno cancellati dalla memoria. Con essi tutto quello che li accompagnava: l’annotazione curiosa, una descrizione personale, un nome, il biglietto d’ingresso del sito visitato o una cartolina acquistata sul posto, perfino un fiore raccolto e disseccato. Un patrimonio di cultura popolare che sta scomparendo.

A commento conclusivo, si può notare come un immagine fermata nel tempo possa essere da stimolo, a noi stessi e ad altri, per visitare luoghi visti magari in gioventù. L’archeologia e la storia della Svizzera offrono molte occasioni in fatto di siti e di musei, nelle città come nelle zone più discoste del paese. Approfittiamone, soprattutto di questi tempi.