«Nel mondo moderno il silenzio è raro come un cielo completamente buio». A pronunciare questa frase è il Dr. Daniel Pierce; purtroppo, dubito che troverete molto inserendo in Google il nome «Dr. Daniel Pierce» seguito dalla citazione. Il Dr. Daniel Pierce infatti non è un vero dottore in medicina. O meglio, in un certo senso è un vero dottore: solo non nella realtà, ma nella finzione della serie TV intitolata Perception, dove interpreta il ruolo di un neuroscienziato, brillante e affermato professore universitario, che soffre di schizofrenia. Se questa lo induce spesso a prendere le allucinazioni per avvenimenti reali, altre volte invece le alterazioni percettive permettono a Daniel di sfoderare una perspicacia fuori dal comune. In tali circostanze, si dimostra un abilissimo osservatore in grado di cogliere e interpretare dettagli invisibili ai più, aiutando così l’agente dell’FBI Kate Moretti a risolvere casi criminali che altrimenti rimarrebbero enigmatici.
Nell’ultima scena di ogni puntata della serie, di solito vediamo il Dr. Daniel Pierce intento a chiudere una lezione, davanti a un auditorio ammaliato, facendo confluire in modo disinvolto l’argomento del giorno verso una domanda o una riflessione che riporta gli studenti alla quotidianità e ai suoi misteri. In quei momenti finali, la telecamera si allontana progressivamente, e la musica sfuma, sottolineando come l’episodio volga al termine. Il doppio effetto scenico, l’allontanamento progressivo della telecamera e l’attenuarsi della musica in sottofondo, amplificano ulteriormente l’incisività e la portata semantica delle parole. Potremmo anche dimenticarci tutto quanto è successo in precedenza, ma non quella frase che, con tutta probabilità, rimarrà impressa nella nostra memoria.
Le pillole di saggezza del Dr. Pierce – tutte molto argute –, ricordano quelle situazioni in cui in uno spettacolo teatrale, a seguito di una vicenda appassionante, vengono pronunciate le ultime parole e poi le luci del palcoscenico si spengono. Come quando, in Shakespeare, Amleto congeda il pubblico con un eloquentissimo «and the rest is silence». E il resto è silenzio. Ma avrebbe anche potuto dire, perché no, e il resto è buio, accompagnando così lo spegnimento delle luci con un atto ineluttabilmente performativo, in cui le parole agiscono direttamente sul reale innescando l’immediatezza del buio. Tra il buio e il silenzio c’è indubbiamente un’affinità, come suggerisce la frase del Dr. Pierce, quanto l’illustre personaggio teatrale che, annunciando il silenzio, riconsegna il palcoscenico al buio.
Il silenzio e il buio possono, a volte, condurci al centro di una saggezza autentica, ma anche contribuire a un mondo dove gli opposti si escludono. Tutti noi conosciamo espressioni quali «passare un periodo buio» e «augurare un futuro radioso». Sappiamo che «passare un periodo buio» non è propriamente una formula che si presta a un augurio, e che «augurare un futuro radioso» è invece un’azione lodevole e raccomandabile. In questo e in altri casi analoghi, il buio indica qualcosa di negativo e temibile. All’opposto, l’avvenire radioso lascia intravedere una promessa di felicità senza ombre.
Se il buio è spesso associato alla negatività, alla depressione, al sospetto, al pericolo e alla paura, ciò non dovrebbe indurci a subordinarlo troppo frettolosamente alla positività della luce, della chiarezza, e della ragione. Sotto la superficie delle facili opposizioni, rigide e non negoziabili, che dividono il mondo in bene (luce), e male (buio), c’è un’altra storia. È quella degli opposti che si intrecciano e si compenetrano, e di un buio che è importante e imprescindibile quanto la luce.
Come afferma Francesca Rigotti in un interessante saggio dedicato al tema, e che si intitola proprio Buio, «se la luce eccita la mente, il buio ci fa entrare in rapporto col nostro centro. Ci offre la possibilità di una visione “interna”. Il buio – conclude la filosofa – ci serve per pensare». Il libro della Rigotti ha il merito di avvalersi di uno stile limpido e di un’argomentazione chiara, che alterna esempi dotti a spunti tratti dal linguaggio comune. Tanto breve e scorrevole, quanto prezioso e sensibile, il saggio si propone di ritrovare, nel viaggio delle parole e delle immagini, il filo nascosto che dal buio conduce alla luce, e viceversa.
Se il Dr. Daniel Pierce avesse un regolare indirizzo email, non esiterei a contattarlo per consigliargli il libro di Francesca Rigotti, una lettura degna della sua intelligenza e arguzia. E anche se non è un vero dottore, e Perception è solo una serie TV, potrei pur sempre contattare gli sceneggiatori e suggerire loro una scena in cui Daniel legge il prezioso libretto. E chissà che, in uno slancio di creatività un po’ pazza, fra quelle pagine non vi trovi addirittura la chiave per risolvere un crimine fino a quel momento indecifrabile.
Elogio del buio
Il buio è spesso sinonimo di negatività, di paura, di disperazione. Ma esiste anche un’altra storia, più positiva, che restituisce al buio la sua pienezza e centralità
/ 24.08.2020
di Sebastiano Caroni
di Sebastiano Caroni