Fu un’inimitabile meteora nell’universo della musica leggera italiana, dove all’epoca imperavano la melodia classica e il bel canto. Il 22 ottobre 1955 uscì Che bambola!, primo grande successo di Fred Buscaglione: un milione di copie vendute praticamente senza alcun battage pubblicitario. Fu un roboante fulmine a ciel sereno. Dapprima osteggiato da radio e tv per la carica esplosiva del testo e lo swing degli Asternovas – fusi in modo da raccontare in soli due minuti una storiella divertente quanto improbabile – quel brano impose all’attenzione generale la coppia Leo Chiosso-Fred Buscaglione.
Entrambi piemontesi, il montanaro Ferdinando Buscaglione e il cittadino Matteo Chiosso si conoscono nel 1936, quando quest’ultimo resta colpito dalla performance di un giovane polistrumentista che, per pagarsi gli studi al Conservatorio, si esibisce con contrabbasso, pianoforte, violino e tromba. La guerra li separa: Fred finisce prigioniero degli Alleati in Sardegna, Chiosso in un lager polacco (dove conoscerà Giovanni Guareschi). Si ritrovano nel 1946 in una Torino ancora devastata dai bombardamenti, che ha tuttavia voglia di rinascere e dove si respira voglia di novità. Li aspetta però una gavetta lunga e dura («Sono un vero sognatore, musicista e un po’ pittore», scrive Chiosso, «Strimpellando sopra i tasti, molto spesso salto i pasti»).
Paradossalmente è grazie al sostegno di un cantante da Sanremo DOC come Gino Latilla (Vecchio scarpone e/o Tutte le mamme!) che Buscaglione incide il suo primo 45 giri: Tchumbala Bey. Con Latilla e Chiosso, Fred forma il Trio Pastiglia, che suscita l’interesse dei telespettatori. Latilla torna poi a San Remo, Fred prende invece la strada di Chicago e di Sing Sing. Chiosso, appassionato lettore di racconti hard-boiled (predilige Damon Runyon ai soliti Hammett e Chandler), gli confeziona il personaggio dello sbruffone dal cuore d’oro, pronto a mille battaglie e ad altrettante sconfitte. Lui si cala agevolmente nel personaggio: si ispira a Clark Gable (altra adorabile canaglia), si fa crescere due baffetti assassini e si presenta con doppiopetto gessato e cappello a larghe falde. È un ironico American dream animato da bulli&pupe e improbabili gangster («Che notte! Mi inseguivano sei auto poliziotte!»), dove il whiskey scorre facile.
A 30 anni (è nato giusto un secolo fa, il 22 novembre 1921) Fred ha il mondo in mano: vende migliaia di dischi; la sua apparizione al Musichiere fa schizzare gli indici d’ascolto della popolarissima trasmissione di Mario Riva; al cinema lo chiamano Dino Risi e Mario Mattoli (il regista Re Mida di Totò); dai locali di terz’ordine passa a quelli di gran classe che gli garantiscono cachet da primato (fino a due milioni di lire a sera). Tra questi, l’allora rinomato Cécile di Lugano, dove si esibisce anche la cantante-contorsionista Fatima Robin’s, nome d’arte dell’artista marocchina Fatima Ben Embarek. Subito ingaggiata per dar vita, accanto agli Asternovas, a nuove versioni jazz/dixieland degli standard dell’epoca, Fatima nel 1953 diverrà poi la Signora Buscaglione. Un matrimonio burrascoso: e come poteva essere altrimenti con un uomo che «beve alla mattina la nitroglicerina»?
Fatima sopporta il plurifedifrago (si narra di una liaison anche con Anita Ekberg) sino a quella maledetta mattina romana del 3 febbraio 1960, quando Fred – reduce da un’esibizione in un night di via Margutta e a bordo della sua Thunderbird rosa – trova sulla propria strada un camion che mette fine a tutto, lasciando l’Italia intera nel lutto.
Tre settimane prima, in un’intervista si era detto stanco, se non addirittura soffocato dal successo, esprimendo l’intenzione di ritirarsi presto. «Prima che la gente mi volti le spalle, Fred il duro sparirà, e io tornerò a essere solo Ferdinando Buscaglione».