Tutti gli esegeti concordano nel giudizio che relativizza il contributo di Dvořák alla musica americana, nel senso di riconoscere il prevalere di una mentalità europea su una composizione come la Sinfonia op. 95 in mi minore (1893) che «del nuovo mondo» recherebbe solo l’intestazione. Non per niente si ricorda come Dvořák si sia trovato a comporre la sua più celebre sinfonia nella cittadina di Spillville nello Iowa, fondata e abitata quasi esclusivamente da coloni cechi, quindi da compatrioti che in una certa misura gli ricrearono intorno le stesse condizioni ambientali del paese d’origine.
Appurata la fedeltà di base agli stessi principi artistici che avevano governato la sua attività precedente, è interessante però esaminare quegli aspetti che lasciano trasparire l’influenza delle circostanze americane su un tronco rimasto indiscutibilmente europeo, non già per rivendicare un posto a Dvořák nella storia della musica americana, bensì per valutare in che misura l’esperienza americana abbia rappresentato una svolta nella creatività del musicista. Esteriormente a tale interrogativo occorrerebbe rispondere negativamente, poiché la presenza di temi neri e indiani, sottoposta com’è a un trattamento capace di apparentarla al retaggio boemo onnipresente nella musica di Dvořák, non è sufficiente a mutare l’orientamento di fondo della sua estetica. Considerando le sue otto precedenti sinfonie è però vero che qui per la prima volta si attenua l’impianto brahmsiano. Nel contesto sinfonico di Dvořák l’esempio brahmsiano, in cui la fedeltà al modello classico attraverso l’impronta della dialettica sonatistica si contemperava all’ispirazione romantica, aveva trovato addirittura una forma di divulgazione estendendo la sua capacità di sintesi all’impiego del patrimonio folclorico del suo paese.
Nella Sinfonia «dal nuovo mondo», pur essendo conservati i tratti fondamentali della scrittura dialettica, subentrano altri elementi guida, primo fra tutti il Leitmotiv. In verità più che Leitmotiv avrebbe più senso parlare di «idea fissa». Senza turbare l’impianto tradizionale in ogni movimento è possibile rintracciare un’eco del primo tema che introduce un riferimento simbolico, un richiamo psicologico chiaramente evidenziato. In un compositore di poemi sinfonici, come fu anche Dvořák, tale tratto tipico del genere descrittivo non può stupire più di tanto. Tuttavia esso non tende a trasformare la sinfonia in un poema sinfonico, bensì a manifestare un diverso criterio di organizzazione del materiale. Se si passa all’esame comparativo della sua tematica si può infatti facilmente notare come la maggior parte dei temi che informano i vari movimenti siano derivati dall’elemento principale del secondo nucleo tematico del primo tempo, articolato sull’arco di una terza minore. Ne deriva una forma trasparentemente ciclica, simile a quella già praticata da alcuni compositori (César Franck).
Ora sicuramente Dvořák era al corrente di quelle esperienze, ma non è detto che da quelle fosse direttamente influenzato. Una spinta in questa direzione può essere invece attribuita al soggiorno americano, in un ambito di cultura non strettamente vincolato al rispetto delle norme accademiche, come s’è già sottolineato altre volte, particolarmente incline a soluzioni immaginifiche. Il principio ciclico e l’impiego del Leitmotiv, provenendo dalla pratica teatrale, palesano infatti un sottinteso rappresentativo e quindi ben si combinano con le evocazioni d’atmosfera che abbondano nell’ultima sinfonia di Dvořák le quali, più ancora che il ricorso a una tematica melodica locale, derivano dall’impatto dell’autore con la natura selvaggia del nuovo continente e anticipano sintomaticamente la sostanza paesaggistica delle colonne musicali cinematografiche hollywoodiane. Il Concerto per violoncello e orchestra op. 104 in si minore, dello stesso periodo (1895) partecipa di questa situazione nella misura in cui, più che di passaggi d’atmosfera, risulta ricco di soluzioni rapsodiche, con sorprese melodiche, armoniche e timbriche celate dietro ogni angolo.