Duran Duran e i nuovi territori

In Future Past la band batte nuove strade fuori dalla comfort zone
/ 06.12.2021
di Benedicta Froelich

C’è stato un tempo, nei «magici» anni 80 – da molti ricordati come un’epoca pacchiana quanto irripetibile, e quindi meritevole d’infinite, non sempre giustificabili, nostalgie – in cui il nome di Simon Le Bon e dei suoi Duran Duran era sinonimo della musica pop più gradevolmente inflazionata: quella tanto amata dai giovani (specie i famosi paninari), e premiata da infiniti piazzamenti in cima alle classifiche internazionali. Di fatto, sebbene un po’ patinati, a tutt’oggi cavalli di battaglia come Hungry Like the Wolf o Save a Prayer restano ammantati di un loro personale fascino, principalmente dovuto all’innegabile intelligenza del songwriting dei membri della band.

Una dote, del resto, grazie alla quale il lungamente atteso ritorno dei Duran Duran, che si riaffacciano ora sulla scena con questo nuovo Future Past (primo lavoro da sei anni a questa parte), si rivela essere un ottimo sforzo artistico – in grado di combinare le suggestioni pop tipiche del glorioso passato della formazione con nuove, riuscite sfumature sperimentali, collocabili principalmente nell’ambito di contaminazioni elettroniche estremamente intelligenti.

Certo, il singolo di lancio, Invisible (il quale, tra l’altro, può vantare il primo videoclip interamente concepito da un’intelligenza artificiale), appare in tutto e per tutto come un flashback del passato, in cui si possono chiaramente percepire echi del sound di colleghi quali Visage e Frankie Goes to Hollywood; tuttavia, la particolarità di quest’album sta nel desiderio dei Duran Duran di continuare a esplorare le sonorità elettroniche già sperimentate in pezzi ormai «da annale» quali Electric Barbarella e New Moon on Monday. Ecco quindi che gli eccellenti Velvet Newton, Beautiful Lies e Give It All Up vibrano di inflessioni elettropop che farebbero invidia perfino ai coetanei Pet Shop Boys, mentre un ballabile da manuale come All of You riesce a fondere con ammirabile disinvoltura discomusic e pop radiofonico, creando una miscela dal successo garantito; proprio come, del resto, avviene anche con Tonight United, brano che potrebbe definirsi come perfetta colonna sonora per un disco party dal sapore vagamente vintage.

Tuttavia, i brani più riusciti dell’album risultano, in realtà, essere quelli nei quali la band decide di fare un passo al di fuori della propria «comfort zone» per inoltrarsi in territori meno noti: un esempio su tutti ne è la riuscitissima title track Future Past, in cui i vocals di Le Bon si fanno particolarmente intensi, dipingendo l’affresco struggente di un’epoca insensata quanto drammatica come quella che stiamo vivendo ora. Proprio come nel toccante ed ipnotico lento Wing – il quale, insieme a diversi altri brani dell’album, non avrebbe sfigurato nei titoli di testa di un film di James Bond – o nell’interessante esempio di sperimentazione rappresentato da Hammerhead, in cui è inserito un recitativo rap a firma di Ivorian Doll, sicuramente pensato per attrarre gli ascoltatori di ultima generazione; mentre la ballata Falling, che può vantare la collaborazione di Mike Garson, presenta una riuscita quanto intrigante fusione tra pianoforte e sintetizzatore, che fa di questa traccia una delle migliori dell’intero CD.

Un disco in cui, del resto, perfino le bonus tracks disponibili nella deluxe edition sono tutte degne d’interesse, da Laughing Boy alle malinconiche Invocation e Nothing Less (quest’ultima impreziosita dai cori di Saffron Le Bon, figlia di Simon), fino alla già citata Velvet Newton – al punto da aver spinto molti fan a rimpiangere il fatto che la band non abbia concepito Future Past come un album doppio, includendo ognuna delle tracce incise in studio.

E proprio qui, in fondo, sta la particolarità, nonché la dote più notevole di quest’album: la disponibilità dei Duran Duran a reinventarsi ancora una volta, nonostante l’età raggiunta dai membri della formazione li possa di fatto legittimare a preferire la sicurezza data dall’abitudine. Questa determinazione a proseguire nella propria ricerca musicale (evidente anche nella scelta di nomi quali Giorgio Moroder e Mick Ronson alla produzione) dà origine a uno sforzo creativo davvero rispettabile, facendo sì che la cosa più indimenticabile del disco sia proprio l’ampia gamma di sonorità impiegate – dagli immancabili sintetizzatori di antica memoria, a sezioni di cori femminili reminiscenti del migliore pop inglese, fino a languidi esercizi vocali da parte di un Simon Le Bon che si rivela qui più in forma che mai, in barba a qualsiasi timore si potesse nutrire al riguardo.

Così, se il grande pubblico può aver in parte dimenticato i Duran Duran, i fan incalliti non potranno che essere grati alla band per aver prodotto una gemma come Future Past – un album che, proprio grazie alla sua connotazione «fuori dal tempo», si può già definire come sicuramente in grado di reggere allo scorrere degli anni; e questo, per una band da sempre identificata con il più appariscente sound anni 80, è un traguardo non da poco.