Marzio Paioni è il protagonista di La Mar, di Olimpia De Girolamo. (foce.ch)


Due ricchi debutti

Al Foce un convincente Marco Paioni ha debuttato con il monologo «La mar», al San Materno Carolyn Carlson ha incantato il pubblico con uno spettacolo poetico
/ 18.04.2017
di Giorgio Thoeni

Si stanno esaurendo i cartelloni più importanti e queste ultime settimane di sfogo teatrale offrono spettacoli eccellenti sui quali ci sarebbe piaciuto soffermarci più a lungo. Dalla straordinaria e intensa Medea di Elisabetta Pozzi alla regia di Christoph Marthaler per il suo riuscito King Size, entrambi al LAC, o ancora all’intelligente comicità di Ale e Franz al Teatro Sociale con un personalissimo omaggio a Gaber e Jannacci.

Tutto non si può fare perciò dedichiamo questo spazio a due spettacoli di casa nostra. A cominciare dall’interessante debutto di Marzio Paioni al Teatro Foce con La mar, un monologo scritto da Olimpia De Girolamo e diretto da Claudio Orlandini con musiche originali di Gipo Gurrado e la scenografia di Dino Serra. Per presentare questa originale operazione, «Agorà Teatro» di Paioni ha lasciato la piccola sala di Magliaso per un palco più ampio e una platea più capiente. Come ne Il vecchio e il mare di Hemingway, il titolo vuole ricondursi al mare, che nella lingua spagnola si traduce al femminile per la sua dignitosa eleganza e generosità. Lo spettacolo ci racconta di Venerio, personaggio vecchio e solo su un’isola sperduta su cui si erge un faro. Potrebbe essere il guardiano della luce che orienta le navi, ma nell’oggetto della narrazione diventa molto di più. È il testimone di una resa esistenziale, il rifugio di una bandiera bianca, una «stanza trasparente» che illumina a intermittenza i ricordi ripercorsi nell’ultimo giorno di vita per poi finire avvolti dall’oscurità.

È dunque la sua storia, del rapporto frettoloso con le donne, spesso prostitute, o di quello, decisamente più tormentato, con il padre violento: un segreto che va raccontato per potersene liberare. La lingua di Venerio è contaminata, ora è napoletano, soprattutto italiano ma anche qualche slancio in francese, tedesco e qualche venatura nostrana. Una Babele che sembra seguire il filone di contemporaneità regionali che diventano universali, come la disperata solitudine di Franco Scaldati o le audaci estetiche di Emma Dante. Parallelismi forse esagerati oppure inconsci, ma legati al cordone ombelicale di quella drammaturgia che trasforma l’evento narrativo in azione teatrale.

La direzione di Orlandini asseconda la vena interpretativa di Marzio Paioni regalandogli possibilità espressive inattese e sorprendenti che mettono a proprio agio l’attore per uno spettacolo convincente, che esce dai soliti schemi, che lascia fecondare idee, emozioni e che è stato accolto calorosamente dal numeroso pubblico delle due serate luganesi.

La calligrafia danzata di Carolyn

Nonostante l’eccezionalità del personaggio e la sua indiscussa grandezza, possiamo considerare il ritorno di Carolyn Carlson al Teatro San Materno come un evento «di casa nostra», in quanto la superba danzatrice e coreografa americana ha creato uno spettacolo appositamente per il suo ritorno ticinese, lasciandosi ispirare dal piccolo e magico palco Bauhaus di Charlotte Bara. Un bel colpo per Tiziana Arnaboldi che continua un percorso da «tutto esaurito» a conferma della scelta di orientare la sua direzione artistica sulla danza contemporanea.

Intitolando Poetry event… Ink Sketches for Water Words, la carismatica Carolyn ha voluto dar forza alla sua passione per la calligrafia giapponese con forme che attraverso il segno del pennello diventano istantanee del cuore, giochi di movimento, gesti e immagini. L’ha fatto accompagnandosi a Sara Simeoni, sua storica danzatrice (ma l’omonimìa non tragga in inganno), bravissima nel ruolo di spiritoso ed eccellente contraltare sulle affascinanti declinazioni poetiche proposte dai disegni proiettati sullo sfondo e su quelli tracciati su carta.

Uno spettacolo in cui la coreografia si trasforma in quel Poetry event che porta l’immaginario della parola all’espressività del movimento. Un’ora di intensa bravura, di magistrale leggerezza e di divertita intelligenza.