Questo solenne ammonimento era iscritto sull’architrave della porta d’entrata del tempio di Apollo a Delfi. Il senso vigile della misura, come norma etica oltre che estetica, riceve dunque un’autorevolissima sanzione religiosa agli albori stessi della classicità. Connaturato al sentire dell’uomo classico, esso trovò presto espressione anche a livello del pensiero «laico»: a Cleobulo, uno dei Sette Saggi, risale la massima métron áriston, «la giusta misura è la cosa migliore», accostabile, nella sua sinteticità, all’aurea mediocritas («la via di mezzo preziosa come l’oro») oraziana.
Particolarmente importante fu l’elaborazione, da parte della scuola peripatetica, del concetto di mesótes («medietà»), intesa non soltanto come equilibrio psichico di fronte alle alterne vicende della sorte, ma più in generale come punto di bilanciamento tra due comportamenti antitetici, entrambi eccessivi e perciò viziosi: una concezione sintetizzata nell’adagio in medio stat virtus («la virtù sta nel mezzo») e destinata a influire largamente sulla cultura medievale, giungendo, attraverso la sintesi di aristotelismo e dottrina cristiana operata da San Tommaso, fino a Dante: si pensi all’ordinamento morale della Divina commedia e in particolare dell’Inferno, con le sue coppie contrapposte di peccatori. A un esponente dell’Accademia platonica, Crantore, si deve la formulazione del concetto di metriótes («giusta misura, moderazione»), poi ripreso dallo stoicismo di mezzo (Panezio) e affiancato a quello di metriopátheia («moderazione nelle passioni»). Un ideale, quest’ultimo, certamente più facile da raggiungere dell’utopistica apátheia (da cui l’it. apatia) o impassibilità assoluta propugnata dai fondatori dello stoicismo e della non meno utopistica ataraxía («imperturbabilità»), nella quale Epicuro faceva consistere il piacere supremo.
Impassibilità stoica e imperturbabilità epicurea erano accomunate, al di là dei differenti presupposti teorici, da una simile aspirazione alla moderazione e all’equilibrio interiore. Oggi il senso della misura non è più di moda. I mass media ci persuadono, più o meno occultamente, a incrementare all’infinito i nostri bisogni e a rifuggire dalla normalità, perseguendo la dismisura. Attraverso le canzoni si predica da decenni una vita esagerata e spericolata. La taraché («agitazione») e il tumultus, quanto meno nella manifestazione sonora di frastuono, non costituiscono più dei disvalori: anzi, è stato osservato che i giovani sono a loro agio nel baccano. Il silenzio, insomma, non è più d’oro. Da ultimo, poi, un duro colpo all’ideale della tranquillitas animi è stato inferto dalla scienza: la ricerca medico-biologica ha infatti dimostrato che una certa dose di tensione è salutare, in quanto assicura all’organismo le necessarie scariche di adrenalina. Secoli di riflessione filosofica rischiano così di venire sacrificati sull’altare di questo piccolo, ma essenziale, amminoalcol: altro che unità del sapere!