Dove e quando
Imagine 68. Das Spektakel der Revolution, Zurigo, Museo nazionale. Fino al 20 gennaio 2019. nationalmuseum.ch

Robert Indiana, Love Wall (Red Blue), 1966 - 2007 (Courtesy Galerie Gmurzynska AG © 2018, ProLitteris, Zürich)


Dopodiché nulla fu più come prima

Al Museo nazionale di Zurigo la storia di una rivoluzione giunta al cinquantesimo anniversario che ha cambiato il modo di vivere dell’Occidente
/ 17.12.2018
di Marco Horat

Quest’anno si è molto parlato del Sessantotto a cinquant’anni di distanza da quei giorni di maggio che se non hanno sconvolto il mondo, certo lo hanno cambiato: dibattiti con protagonisti e semplici spettatori, interviste con esperti, filmati, suoni e immagini provenienti da Francia, Italia, Germania, Stati Uniti, dal resto della Svizzera e, nel nostro piccolo, dalla Magistrale di Locarno.

Il tema del cambiamento e del nuovo che irrompe nella vita di milioni di persone, soprattutto nel mondo giovanile, ma di riflesso in tutto il corpo delle società occidentali, è stato affrontato da molti punti di vista, anche a seconda delle modalità proprie a ciascun paese. Si è partiti dalla politica, dalla società, dal costume, dalla musica, dall’arte e, più in generale, dalla cultura intesa come insieme di valori e modelli di comportamento. Un complesso di fattori interdipendenti, di cause-effetto che si sono intrecciati e influenzati a vicenda, obbligando la società a fare i conti con il proprio passato e a proiettarsi verso il futuro. Che la si pensi in un modo o nell’altro fu uno strappo non da poco, e da allora molte cose si sono messe in movimento, nel bene e nel male.

È ciò che appunto hanno pensato di proporre gli organizzatori della mostra intitolata Imagine 68 (Stefan Zweifel e Juri Steiner), aperta al Landesmuseum di Zurigo, che ha così rievocato quel periodo lontano e vicino allo stesso tempo per indurre il visitatore a qualche riflessione sull’argomento. Un discorso articolato che ingloba l’intero problema, per cui rimarrebbe deluso chi a Zurigo cercasse esclusivamente l’approccio politico e sociale della rivolta del ’68.

Saltando l’inizio con la Rivoluzione culturale di Mao e con i disordini all’Università di Berkeley contro la discriminazione razziale e la guerra del Vietnam (che in fondo hanno acceso la miccia in mezzo mondo), si arriva ai concerti degli scomodi Rolling Stones e di Jimi Hendrix all’Hallenstadion e al caso Globus, con la richiesta di un centro giovanile, sostenuta anche da un gruppo di intellettuali che poi nel settembre ’68 organizzarono un happening al Centro Le Corbusier.

Seguendo l’esempio cinese dei Dazebao anche a Zurigo fu allestito un giornale murale sul quale tutti potevano esprimersi. In mostra ci sono alcuni manifesti stampati o manoscritti che illustrano i temi caldi di allora da noi come in tutta l’Europa: Vietnam (creare due, tre, molti Vietnam), pacifismo (fate l’amore non fate la guerra), antiautoritarismo e libertà (il est interdit d’interdire), movimento femminista (il corpo è mio e me lo gestisco io), riforme scolastiche e universitarie, lotta di classe e ruolo degli intellettuali, repressione e violenza della polizia e altri ancora.

In alcune postazioni audio-visive si possono vedere filmati (Full Metal Jacket, di Kubrick) e documentari di manifestazioni avvenute in tutto il mondo, Cina compresa, provenienti da collezioni private, da altri musei e dal fondo dello stesso Landesmuseum, sempre attento all’evoluzione della società passata e presente.

Ma lo spirito del ’68 – l’idea è di immergere lo spettatore nell’atmosfera di quegli anni – è anche documentato grazie a una serie di fotografie che hanno fatto la storia, di oggetti storico-culturali e opere d’arte di artisti di rottura per l’epoca, a modo loro protesi verso il superamento polemico della realtà del momento: Robert Indiana con il suo inno all’amore (Love) che accoglie il visitatore al secondo piano del Museo nazionale, Andy Warhol e la Pop Art, Claes Oldenburg, Jean Tinguely, Niki de Saint Phalle per dire dei più noti.