Qualche tempo fa, si discuteva di autoreferenzialità riferita a conduttori televisivi (si parlava di sport, e di informazione), come se questo «vizio» non fosse tra gli ingredienti imprescindibili per il successo in quella professione.
Di fronte a una certa insofferenza per egolatrie radiotelevisive, ricordiamo come questo mondo sia percorso e dominato da un’ansia universale di autoreferenzialità, da un desiderio quasi tragico di squadernare al mondo – per interposti social – anche gli episodi minimi e ridicolmente inessenziali della propria esistenza (i piatti che si mangiano, i bimbibelli e i gattini, i tramonti rossirossi, le «imprese» sportive, i viaggi banali da pseudovip), come a salvare una propria «speciale» esistenza in vita di fronte a un mondo che tutto omologa e tutto reifica nell’indifferenziato. Per poi finirci proprio per quell’ansia di sottrarvicisi.
Chi ha fatto dell’autoreferenzialità una vita, una cifra assoluta, un esempio da imitare e un buon sistema per guadagnarsi il pane (e anche la Nutella da metterci sopra, e magari tutta la panetteria) sono la coppia Chiara Ferragni e Fedez. Il duo, influencer e rapper romantico, è la suprema epitome della modernissima vita in vetrina; mi piacciono, e non solo per il fatto che sono spesso oggetto di aspra critica e di pubblico ludibrio da coloro che poi puntualmente li copiano, ma per la loro capacità di essere insieme lievi e profondi, svagati e impegnati, glamour e domesticamente quotidiani, teneri genitori e cinici affaristi, protagonisti social e sovranamente indifferenti a quanto essi, nei social, suscitano.
Per rendersi conto di quanto essi siano interessanti, e a loro modo paradigmatici di questa epoca vertiginosamente avvitata su se stessa, potrebbe giovare la visione degli episodi della saga I Ferragnez (Amazon Prime), che fa il paio con il bel documentario (Chiara Ferragni – Unposted) andato in onda questa primavera sulla RSI.
Ora non solo si mettono in scena come al solito, ma fanno un passo in più, addirittura mostrandosi in terapia di coppia, svelando forse particolari intimi e comunque inediti; per questo tramite, sembrano voler innestare una sorta di «autenticità aumentata» nella loro narrazione consueta, che rischia con il tempo di sembrare un po’ plastificata e automatica. Una bella alzata d’ingegno di questa azienda famigliare, che con intelligenza cavalca le ansie e le nevrosi della nostra epoca, per finalità economiche ma forse anche per accamparsi un giorno come punto di riferimento glittering per una schiera di utenti in cerca di nuove sponde etico-politiche.