Donne troppo poco normali

Il ruolo femminile nelle serie poliziesche
/ 27.12.2021
di Marco Züblin

Sul tema dei diritti delle donne siamo almeno parecchio confusi, per non dire altro. Al netto della bassa macelleria delle esternazioni paleo-misogine e neandertaliane, delle allucinanti battute da caserma sdoganate allegramente in access prime time a proposito di costumi da bagno e di sederi femminili, e delle dichiarazioni d’occasione di credibilità di grado zero, vi è un problema di identificazione di uno «specifico femminile» e di sereno e fecondo confronto con esso, un problema che ha puntuale effetto sulla capacità di metabolizzare la dinamica dei rapporti tra i sessi.

Nello specifico del poliziesco televisivo, da un po’ si assiste a un fiorire di protagoniste donne, che da sponde diverse (polizia, medicina legale, magistratura) risolvono casi, per lo più facendo fare figure marroni ai loro colleghi maschi, che il plot puntualmente imprigiona in uno schematismo un po’ stolido e binario, e che quindi vengono puntualmente messi alla berlina dalle protagoniste. Già ho detto qui della straordinaria Vera, che in questa galleria è in più o meno buona compagnia con – per qualche esempio, tra i mille possibili – Petra (omonimo, TV8, un raro esempio di serie di qualità ben superiore ai libri da cui è tratta), Alexandra (Alexandra, Giallo), Chloé (Profiling, Cielo/Giallo), Stella (The Killing, RSI), Carrie (Unforgettable, RSI/TV8), Florence (Art of crime, RSI), Saga (Bron Broen, RSI), Blanca (omonimo, Rai1), Alice (Alice Nevers, Giallo), Morgane (HPI, Rai1), Allison (Medium, RAI).

Tutto bene, si dirà. Se non che lo «specifico femminile» si declina troppo spesso nelle forme della malattia e della devianza, testimoniando così che agli occhi dei produttori tv l’inquirente donna ha diritto di cittadinanza solo se è portatrice di diversità, spesso patologica. Di qui il fitto campionario di scarti dalla norma: da più o meno gravi patologie psichiatriche, a doti soprannaturali, a cecità traumatiche, e via elencando. La sensazione è che si farà un passo utile verso un pensiero veramente inclusivo anche nei media riuscendo a identificare una narrazione rispettosa, che permetta ai personaggi femminili di accamparsi con le proprie umane e normali specificità psicologiche e comportamentali, e non come fenomeni da baraccone che hanno diritto di esistenza mediatica solo con il viatico di una sorta di diversità circense.