«La Régie autonome des transports parisiens, ricorda che l’artista Silvia Radelli nel 2014 era andata molto più lontano con la sua opera Le Métroféminin, presentando una mappa alternativa con tutte le 302 stazioni metropolitane parigine caratterizzate da nomi di donne celebri».
Non si esagera definendo la «Rivista italiana di onomastica», diretta da venticinque anni dal linguista romano Enzo Caffarelli, una delle migliori riviste linguistiche in assoluto del panorama italiano. Da un quarto di secolo, da quella fucina escono infatti due poderosi volumi all’anno con articoli, recensioni, segnalazioni, rassegne di congressi e iniziative editoriali, elenchi, repertori, curiosità, voci; insomma, l’universo mondo dello studio dei nomi propri, in Italia e ovunque. Proprio per sua vocazione, occupandosi con il lessico della «buccia» della lingua e del sistema, capita che da lì si peschi spesso al confine con l’analisi del costume culturale; fenomeni della società che volentieri si spalmano sui nomi di persona e di luogo, i quali finiscono per portarne evidenti e non banali tracce.
E un fenomeno di costume e quasi di cultura politica per eccellenza in questi anni è certamente quello legato al delicato settore dei rapporti tra lingua e genere, intesi in senso lato e in varie declinazioni. Così all’insegna di un titolo apparentemente allontanante come Femminili plurali e deonimici maschili capita di leggere un testo in verità molto divertente e istruttivo sull’uso al femminile di nomi comuni derivati da nomi propri famosi, tipo Cicerone («Ci ha fatto da Cicerone»), Mecenate, Anfitrione e Mentore. La morfologia di questi nomi è (la fa forse un po’ facile certa linguistica antisessista e morfologicamente molto perentoria e tranchante) veramente piuttosto ardua e imprevedibile: che si fa? Facciamo finire tutto in –a come si conviene alle raccomandazioni più assolute? Ci dicono per esempio certi vocabolari che cicerona (come medica) è percepito come ironico ed è quindi poco rispettoso. E certo non sappiamo come metterla con il poco probabile mecenata. Mecenatessa? (Tutte queste forme sono rigettate in primis dall’evidentemente maschilista correttore di questo stesso word processor). Le soluzioni morfologiche più coraggiose sconfinano quasi nella fraseologia; qui, non dovrebbero offendere nessuno formazioni come fare da cicerone perché il soggetto può essere sia maschile che femminile. Però si vorrà essere lontani da esponenti più determinati/e di quella linguistica così impegnata quando a qualcuno verrà in mente (anzi a qualche sciagurato è venuto in mente) di risolvere tutto proponendo la qualifica femminilizzante in gonnella; da apporre, certo con incauta superficialità, a tutte le denominazioni maschili in questione: Cicerone in gonnella, Anfitrione in gonnella, Dongiovanni in gonnella e forse (ma lì saremo volentieri a infinita distanza dai nostri interlocutori destinatari) dottore in gonnella, avvocato in gonnella, ingegnere in gonnella.
Per fortuna, viene da dire, l’ultimo numero della «Rivista» porta anche abbondanti nuove notizie riguardo a un altro settore di qualche scontro tradizionale tra generi: l’odonomastica, i sistemi di nomi di vie e piazze. All’insegna di Altri passi avanti per l’odonimia femminile si snocciolano le perle di un successo, almeno stradale, sempre più crescente: una strada un ponte e sei rotatorie intestate a donne a Mestre; la ridenominazione tutta al femminile dei doppioni di un nuovo comune nel Torinese; un’intera serie di nomi dedicati alle Madri della Repubblica vicino a Firenze; un parco per Elsa Morante e un tratto di ex linea ferroviaria in onore della nobile lombarda quattrocentesca Antonia da Barignano a Rimini; e ancora, un largo intestato a Berta di Lotaringia (863-925) a Lucca. Infine, a Parigi, una consultazione in Internet per denominare due nuove stazioni della metropolitana: lì, davanti a tutti e in dirittura d’arrivo, stanno per ora la cantante Barbara e la musicista Nina Simone.
Bibliografia
«Rivista italiana di onomastica», anno 25, numero 2, 2019