Dove e quando

Stefano Castelvecchi incontrerà il pubblico di PiazzaParola mercoledì 6 settembre alle 18 al LAC in un incontro dal titolo Don Giovanni tra musica e letteratura.

L'evento è sostenuto dal Percento culturale di Migros Ticino

Don Giovanni, rifiuto e seduzione

Incontri - Tra i protagonisti della settima edizione del festival PiazzaParola vi è anche il musicologo e professore italiano Stefano Castelvecchi
/ 04.09.2017
di Enrico Parola

«Nel Don Giovanni di Mozart non c’è affatto quel binomio amore-morte che sarà fondamentale nell’estetica romantica, nel Tristano e Isotta, in Lucia di Lammermoor o in alcune eroine pucciniane. Nella seconda delle tre opere composte su libretto di Da Ponte alla morte si contrappone l’eros, la seduzione».

Stefano Calstelvecchi, musicologo e lecturer al prestigioso St. John’s College di Cambridge, anticipa la trama che svilupperà nel suo intervento a PiazzaParola sul capolavoro mozartiano. «Gli organizzatori hanno scelto come tema il legame tra musica e seduzione; qui l’eros c’è, in molteplici sfumature, ma dall’inizio alla fine c’è anche lo spettro della morte» riflette Calstelvecchi, che per arrivare al cuore dell’opera parte dal livello più generale, quello della definizione stessa del genere. «Dovessi inquadrarla in due parole direi che è un’opera buffa: ci sono i personaggi popolari, un registro verbale comico e un linguaggio musicale medio, lontano dai virtuosismi vocali – le colorature – tipiche dei personaggi nobili ed eroici dell’opera seria. Ma come si può chiamare buffa un’opera che si apre con un omicidio a scena aperta – il duello tra Don Giovanni e il Commendatore – e si chiude col libertino inghiottito dalle fiamme dell’inferno?»

Il musicologo romano rimarca più volte che «a condannare Don Giovanni non è l’aver sedotto centinaia di donne, in fondo neppure l’omicidio commesso, ma il rifiutare categoricamente la dimensione ultraterrena, l’Aldilà. Lo si vede quando, inseguito dai contadini che vogliono vendicare le sue avance con Zerlina proprio nel giorno delle nozze con Masetto, si ritrova col servo Leporello in un cimitero e vedendo la statua sulla tomba del Commendatore la sbeffeggia invitandola a cena. Lo spettro viene davvero, gli offre ripetutamente di pentirsi e cambiar vita, lui si rifiuta, ma quando stringe la mano della statua si stupisce del gelo che lo avvince, delle fiamme e delle voci che inizia a percepire: è come se fino a quel momento non si fosse accorto della realtà del Trascendente».

Gli storici riportano che la prima rappresentazione assoluta, avvenuta a Praga il 29 ottobre 1787, fu un fiasco anche perché il pubblico rimase sconcertato dal finale, la caduta di Don Giovanni negli inferi; così per il debutto viennese Mozart e Da Ponte aggiunsero l’allegra scena finale in cui gli altri personaggi festeggiano la morte del protagonista sentenziando «questo è il fin di chi fa mal». «Personalmente non sono così sicuro che sia andata davvero così, penso che il doppio finale fosse già nella mente del musicista e del poeta e la scelta avvenisse per motivi di maggiore o minore durata dell’opera». Comunque sia, la morte non si lega all’amore e così Castelvecchi chiude questo tema rimarcando come Don Giovanni sia «un libertino tout court, non solo in ambito sessuale ma anche spirituale: rifiuta la morale, la religione e l’Aldilà; è libertino anche a livello sociale, ma solo quando gli risulta comodo: rifiuta la piramide se lui, nobile, vuole conquistare una popolana, ma se c’è da far pesare il suo “don” su servi e contadini non esita a farlo». 

Conclusa la riflessione sulla sfera spirituale, può aprire quella sulla seduzione. «Curiosamente, in scena Don Giovanni non arriva mai a consumare la sua passione per una donna: c’è sempre un imprevisto che lo interrompe sul più bello e quindi dobbiamo fidarci del computo redatto da Leporello nel famoso catalogo in cui tiene memoria delle sue “donnesche imprese”, arrivate ormai a duemila: 640 italiane, 231 tedesche, 91 turche, 1003 spagnole…» sorride. «Ma ad esempio la scena con Zerlina è esemplare di come Mozart sappia tradurre in note il senso della seduzione». Don Giovanni interrompe il canto di nozze e allontana il promesso sposo Masetto minacciandolo (lui deve chinare il capo e obbedire) e inizia ad adulare Zerlina «con un linguaggio semplice, medio, non certo comico ma neppure minimamente aulico: Don Giovanni è linguisticamente un ibrido, si adegua e si uniforma al livello sociale della donna che vuol conquistare».

Lei all’inizio è ritrosa e timorosa, poi cede; è la celeberrima aria Là ci darem la mano: «All’inizio Don Giovanni intona questa melodia flessuosa, semplice e voluttuosa a un tempo; Zerlina risponde dopo una pausa pronunciata, il botta e risposta si ripete con pause sempre più brevi e poi con le ultime note del seduttore sovrapposte alle prime della contadina, a segnare un progressivo avvicinamento. La conquista è sancita dal cullante ritmo di 6/8 in cui i due, assieme, cantano Andiam mio bene a ristorar le pene di un innocente amor; lo stesso ritmo che ritroviamo nelle Nozze di Figaro quando Susanna riconosce Figaro e i promessi sposi, dopo equivoci e sospetti, fanno finalmente e dolcemente pace».

Sarà poi Zerlina a trasformarsi da vittima a seduttrice: mentre sta per appartarsi nel «casinetto» del nobile, irrompe Donna Elvira, sedotta e abbandonata da Don Giovanni a Burgos, e rivela alla basita contadina la vera indole dell’uomo che ha davanti; lei scappa, ma non sarà facile convincere Masetto che non sia successo nulla. Inconcludente il primo tentativo («Batti batti o bel Masetto la tua povera Zerlina»), si rifarà quando raccoglierà Masetto, pesto per le percosse subite da Don Giovanni, sul ciglio della strada e per guarirlo gli prometterà un rimedio che «è naturale, non dà disgusto e lo speziale non lo può dar».

«I versi di Da Ponte sono efficacissimi» commenta Castelvecchi «ma è la musica di Mozart a dare una profondità e un’intensità miracolose; i due lavorarono assieme e non è un caso che proprio i libretti per le tre opere mozartiane siano il vertice artistico raggiunto da Da Ponte».