Dimenticarsi per vivere di nuovo

Nel suo romanzo «Teoria generale dell’oblio» (Neri Pozza) lo scrittore angolano José Eduardo Agualusa mescola sapientemente i fatti storici con la ricerca del proprio io
/ 22.05.2017
di Blanche Greco

«Il cielo d’Africa è molto più grande del nostro... ci schiaccia», dice Ludo, che forse ricorda ancora l’azzurro del cielo portoghese, intenso e ingenuo come gli occhi dei santi di legno delle chiese di Aveiro, la sua città. A Luanda, all’ultimo piano dell’elegante Palazzo degli Invidiati, nell’enorme appartamento che diventa la sua torre d’avorio, la fragile protagonista di Teoria generale dell’oblio, il romanzo di José Eduardo Agualusa, osserva con timore il cielo di notte, buia voragine piena di stelle, e di giorno, un poco per volta, si lascia accarezzare dalla luce del sole.

Sulla grande terrazza trasformata in giardino pensile, poi in un orto e in un cimitero, Ludo non si nasconde, non si sente più come «una tartaruga alla quale avessero strappato il carapace», e anche il pensiero dell’incidente non la tormenta più, è come se quel muro che ha costruito sul pianerottolo del Palazzo, e che occulta la porta del suo appartamento e la sua stessa esistenza al mondo intero, invece d’imprigionarla, la liberasse dalla paura della violenza del Paese in tumulto; dai suoi vecchi pensieri e da ciò che potrebbe accadere a lei, che non ha mai saputo badare a sé stessa.

La «rivoluzione dei garofani», il 25 aprile 1974, seppellendo definitivamente il regime di Antonio de Oliveira Salazar ha aperto la porta del futuro al Portogallo, ma soprattutto alle colonie. L’Angola da quel momento attende di celebrare la propria indipendenza, ma siamo nel 1975 e le varie fazioni si combattono accanitamente. Nel Palazzo degli Invidiati svuotato dei suoi originari ricchi abitanti, fuggiti a Lisbona o in Brasile, resta solo Ludo, che sente alla radio gli echi della rivoluzione, i discorsi infiammati, «il lutto che continua»; le tante misteriose lingue africane; mentre il vento le porta il suono degli spari, il clamore e le urla delle manifestazioni, degli scontri e delle battaglie. L’Angola «che si scuote da cinquecento anni di oppressione coloniale», è come inebriata, frastornata, confusa, e si perde nei meandri della guerra civile tra ideali, orrori, ingordigie e paura.

Quasi come un naufrago, spiaggiato all’undicesimo piano, Ludo combatte per anni, ogni giorno, per sopravvivere, contro la fame, la sete, la solitudine, mentre le figure che intravede dalla finestra; la gente che a poco a poco ripopola il Palazzo a sua insaputa, intrecciano le loro vicende con la sua in un affresco eccitato ed eccessivo di avventure, di fatti meravigliosi e terribili che ricostruiscono e ci trasmettono notizie, sentimenti e sensazioni della realtà dell’Angola di quegli anni.

La storia che racconta José Eduardo Agualusa, prende spunto da un fatto reale: una signora portoghese prima dell’Indipendenza dell’Angola, terrorizzata dall’esplosione di odio e di violenza, si murò nel suo lussuoso appartamento di Luanda, vivendo esiliata e dimenticata per quasi trent’anni. Il romanzo Teoria generale dell’oblio comunque è pura fantasia, una vicenda di finzione affascinante e profonda, che s’inserisce in un contesto storico reale che José Eduardo Agualusa, scrittore angolano di famiglia portoghese, ben conosce, come ricordava tempo fa, in una intervista: «Angola in quegli anni era un turbine. In quell’epoca di transizione c’erano i portoghesi che fuggivano, i mercenari americani, inglesi e portoghesi, insieme a militari sud-africani, che combattevano le truppe cubane e angolane. Tutto sembrava possibile, tutti i sogni, ma intanto si fucilavano le persone nella pubblica piazza, come se fosse uno spettacolo». 

I protagonisti della storia di Agualusa sono bianchi, neri, mulatti, ma lo scrittore non accenna mai al colore della pelle, perché è la loro storia, il segreto che ognuno di loro si porta dietro, ciò che gli interessa, salvo nel caso dello scrittore francese Simon-Pierre Mulamba, «un mulatto alto, distinto, di bell’aspetto» che invitato a Luanda, per la prima volta scopre l’Africa dei suoi padri, e vi si perde per sempre.

Il libro, che ha il tono ironico e melanconico di una canzone di Vinìcius de Moraes e lo stile di una favola magica, non è la storia di una reclusa, anzi è un romanzo pieno di aria e di sole e di gente, ma, allo stesso tempo racconta come l’oblio, e il dimenticarsi di sé stessi, possa essere un esercizio che permette di riprendere a vivere; di rinnovarsi e di cambiare. Cosa che, in un modo o nell’altro, accade ai vari personaggi della storia, la vita dei quali è solo in parte frutto del destino, perché sono tutti, compresa Ludo, inesplicabilmente legati ad altri esseri umani, altrettanto complicati e misteriosi.

Appena pubblicato in Italia da Neri Pozza, Teoria generale dell’oblio, nato in un primo momento come trattamento cinematografico, è stato negli anni trasformato da José Eduardo Agualusa, in un romanzo che ha avuto numerosi premi e riconoscimenti, oltre ad essere tra i sei finalisti del prestigioso Man Booker International Prize 2016.