L’ultima volta che Ivo Dimchev si è esibito in Svizzera, al festival Antigel di Ginevra (nella sua «nuova» veste di cantautore), è stato un meraviglioso delirio. Il pubblico rideva, si commuoveva, gridava il suo nome su scena come durante un concerto rock, ma senza quella dose massiccia di testosterone che guasta troppo spesso la festa. Perché diciamolo sin dall’inizio, Ivo Dimchev è un personaggio che con le frontiere e le categorizzazioni ci ha sempre allegramente giocato, abbattendole per creare quel qualcosa di unico che lo rende «al di là dei generi». Uomo, donna, animale, vegetale o androide dai mille volti, il suo corpo incarna tutte queste realtà restituendone un’essenza ibrida, misteriosa e incredibilmente attraente. Insomma, le sue esibizioni non lasciano certo indifferenti e ci rimangono attaccate addosso ben al di là delle mura rassicuranti dei teatri.
La sua ultima tournée fatta di concerti dal vivo durante i quali incarna personaggi sempre diversi grazie a parrucche multicolore dal taglio rigorosamente a «tazzina», tatuaggi sibillini e giacche vintage, è stata un successo di critica e pubblico. Non lasciamoci fuorviare però, la carriera del nostro multisfaccettato artista bulgaro non è certo cominciata nel mainstream, anzi. Per gli «insider» e per chi lo segue ormai da anni (ben prima che le sue canzoni lo rendessero «famoso»), Ivo Dimchev incarna la quintessenza dell’artista contemporaneo impegnato e radicale.
Coreografo, artista visivo, militante per i diritti della comunità LGBTIQ+, nonché cantautore nato a Sofia ma emigrato ad Amsterdam per studiare coreografia alla DAS Arts Academy, Ivo Dimchev sembra un essere in costante mutazione. Mutazione geografica: da Amsterdam si è spostato a Bruxelles, capitale europea delle arti della scena dove è stato per quattro anni artista in residenza al prestigioso e avanguardistico Kaaitheater nonché iniziatore, tra le mura del suo atelier Volksroom, di sorprendenti serate dedicate a giovani artisti internazionali, per poi lasciarsi andare a nuove avventure nella sua città natale, Sofia, dove ha aperto uno spazio dedicato all’arte contemporanea e alla musica, finendo poi a Londra, sua (effimera) città d’adozione.
Ma anche e soprattutto contaminazione di generi (artistici e identitari): il suo lavoro radicale comprende performance dove il corpo diventa strumento rivoluzionario che trasmette messaggi militanti (imperdibile il solo show Lili Handel nel quale incarna un artista al crepuscolo della sua carriera, vestito da drag con un tanga di perle e tacchi neri) e altre in cui l’ironia e l’autoderisione, soprattutto in legame con il mondo dell’arte, sembrano prendere il sopravvento (emblematici P project e Fest).
Il climax di questo suo navigare tra i generi artistici, dall’underground alla cultura pop è stato raggiunto nel 2018 con la partecipazione a X Factor UK. Le sue performance, spesso parassitate da inaspettati momenti di canto, sono sempre state caratterizzate dalla sua voce inconfondibile, ma nessuno si sarebbe aspettato di vederlo calcare il palcoscenico di una trasmissione che con il maistream ci va a nozze. Eppure Ivo ha accettato la sfida (seppur alle sue condizioni), fregandosene dell’inevitabile giudizio dell’élite culturale che di certi spettacoli farebbe volentieri a meno.
Come affermato dal coreografo stesso, passare dal mondo delle arti della scena, nel quale si è sempre sentito a suo agio, a un altro a lui completamente estraneo non è stato facile. Ma è proprio questa pericolosità che l’ha sedotto! Come conciliare due mondi in apparenza agli antipodi? Ivo Dimchev ha vissuto l’avventura come un esperimento, un modo per testare la potenza delle sue canzoni al di fuori dei teatri e delle convenzioni performative. Il successo è stato inaspettato e il pubblico, in un primo momento destabilizzato dalla sua presenza scenica imponente e queer, ha ceduto alle sue bizzarre canzoni d’amore tra melodie pop e sperimentazione. Il risultato sono due album pubblicati nel 2017: Songs From My Show-Live e SCULPTURES.
Un repentino e inaspettato salto nel vuoto che si addice alla perfezione a un artista che non ha mai smesso di abbattere le barriere e le convenzioni imponendosi in quanto artista camaleontico che della radicalità e del rapporto fusionale con il pubblico ha fatto il suo credo. Che si tratti di concerti intimisti dominati dalla sua toccante voce cristallina che canta canzoni in apparenza innocue (basta ascoltare con un po’ di attenzione i testi per rendersi conto del contrario) o di performance estreme dove il suo corpo è messo alla prova come nel caso di Avoiding deLIFEath o Facebook Theatre, Ivo Dimchev rimane fedele a sé stesso. Poco importa il genere di pubblico: intellettuali al limite dell’hipster o frequentatori occasionali dei teatri, quello che conta è la sincerità disarmante con la quale il nostro menestrello bulgaro interagisce con ognuno di loro.
Forse la performance più rappresentativa di questa tendenza a considerare l’arte come forza liberatoria e catartica da condividere con il pubblico è I Cure. Con questo suo lavoro Dimchev, sorta di guru queer, si prefigge l’arduo compito di risolvere i problemi fisici e psicologici di quanti hanno deciso di partecipare al suo rituale. Ogni spettatore riceve una I-Cure card che gli serve da strumento di interazione «esoterica» con il performer stesso. Dimchev: vestito da drag, occupato con canti e danze, allusioni sessuali, spiritualità e sciamanismo pop si rivolge al pubblico in uno spettacolo terapeutico che trasforma la comicità in catarsi.
Mr. Dimchev è riuscito a fare della scena un mondo parallelo dove tutto è possibile, dove dare libero sfogo a quello che Paul B. Preciado chiama «l’animalismo», sorta di sistema rituale totale che non sottostà a nessuna gerarchia o sovranità ma che, al contrario, produce la propria coscienza collettiva.