È uscito anche il terzo numero del trimestrale «Sotto il Vulcano. Idee, narrazioni, immaginari», diretto dal giornalista e critico letterario Marino Sinibaldi ed edito da Feltrinelli. Come al solito, alla direzione si affianca la cura affidata di volta in volta a uno scrittore, chiamato a reggere un tema portante legato alla contemporaneità: in questo caso il curatore è lo scrittore Andrea Bajani e il tema è Fuori luogo; nei due precedenti casi, Helena Janeczek e Melania Mazzucco avevano tirato le fila di Cronache dal mondo nuovo e Metamorfosi. Ancora, il titolo del periodico allude al noto romanzo di Malcolm Lowry.
Che cosa sia esattamente questa rivista non è dato sempre chiarissimo al lettore; ma forse questo è anche un pregio deliberato e intenzionale dell’operazione. È una sorta di disorientamento continuo, un «medium freddo» che invita a modulare contenuti e tagli di contributo in contributo. Un felice e fantasioso disordine insomma, che racchiude molto all’interno di una iniziativa editoriale decisamente curiosa. A partire dalla grafica, dal materiale di stampa e da forme testuali disomogenee: in questo numero si passa senza cesure dalle poesie costruite con i ritagli di Herta Müller, ai disegni di Nicolò Pellizzon; dalle tre colonne di alcuni contributi ai testi a tutta pagina di altri, ai molti colori dell’insieme.
In mezzo a tutto ciò, anche contenuti e stili rispondono a logiche divergenti. Così, la parte centrale, quella d’autore, è in questo caso dedicata a temi variamente legati alla geografia e le altre sezioni a una sorta di fluire libero di argomenti culturali e letterari. È inevitabile che tale virtuoso disordine porti il lettore a fare delle scelte. Tra queste, spazio dunque al bel contributo di Pamela Paul, editor della «New York Times Book Review», su una sua definitiva dieta social («Nel febbraio del 2022, dopo 15 anni, mi sono definitivamente disconnessa da Facebook e il mese dopo ho deciso di cancellare il mio account Twitter. Ci sono meno emozioni nella mia giornata e penso che questo probabilmente mi renderà una persona migliore»); o al saggio di esemplare responsabilità giornalistica di Juan Gabriel Vásquez dedicato all’atteggiamento della stampa di fronte alla notizia della figlia segreta di Gabriel García Marquez.
Per la parte «obbligatoria» dedicata alla geografia, sono molto piacevoli l’introduzione alla sezione di Andrea Bajani; l’intervista del medesimo Bajani al Premio Nobel Abdulrazak Gurnah sui confini dell’Africa storica e contemporanea; il pezzo (il migliore di tutti) di Jhumpa Lahiri, su collocazioni geografiche alternative dove svolgere la sua attività di traduttrice delle Metamorfosi: casa sua a Roma (che è casa dell’opera stessa: «a Roma mi godo il cielo, lo guardo mentre lavoro, mi ci perdo e il cielo che contemplo a Roma è lo stesso che avrà contemplato Ovidio») o casa sua a Princeton; o ancora la struggente malinconia per le gite in auto ai tempi di prima dei navigatori nel racconto di Fabio Genovesi.
Ecco, complici la grafica coraggiosa, l’oggetto tipografico complessivamente bello e il continuo disorientamento contenutistico, l’operazione di «Sotto il Vulcano» si rivela opera anomala, che ha proprio nella vertigine di avvicinamento ai contenuti una sua sfida editoriale di pregio. Così, con il tema comune non sempre rispettato, la varietà di voci e colori, l’iniziativa su «da dove cominciare» lasciata quasi completamente al lettore, la rivista assume parvenze simili a un festival di letteratura, in un approccio che ricorda (ma si può ben dire) quello dei ritmi della televisione moderna.