Nel tempo irreale e sospeso della pandemia il mondo di Thomas Bernhard ci appare più che mai familiare. Reclusione e isolamento fanno parte ormai della nostra quotidianità, ma sono anche un leitmotiv del grande scrittore austriaco; anzi, nei tre racconti di Midland a Stilfs del 1971, che Adelphi propone nell’ottima versione di Giovanna Agabio, diventano quasi una cifra esistenziale.
Ci sono due fratelli, il narratore e Franz, confinati fra i monti del Tirolo, e la sorella Olga inferma da anni, nel testo che dà il titolo al volume. Mandano avanti una fattoria nel bel mezzo di un’ampia proprietà dove tutto va in pezzi in modo irreparabile. Persino l’immensa biblioteca di famiglia in cui più nessuno ha messo piede. Una volta all’anno arriva l’inglese Midland, figlio di genitori ricchi e fanatico della montagna, che fa visita alla tomba della sorella morta a Stilfs. Lui contagia tutti con la sua inquietudine e dispensa stimoli, idee, novità. Ma non sana la disperazione dei fratelli per i quali, come si legge alla fine, la vita non ha più alcun senso.
Poi ecco un acrobata e uno scienziato che studia gli strati atmosferici: altra coppia di fratelli nelle pagine Sull’Ortles. Notizie da Gomagoi, intenti a raggiungere una malga ereditata dai genitori sullo Scheibenboden. Salgono a fatica, incalzati dal loro passato, nel tentativo di abbandonare tutto – cose, persone, città, propositi – e decisi ad essere «completamente liberi da qualsiasi disturbo e per giunta all’aria pura». Mentre l’avvocato Enderer di Innsbruck nel racconto Il mantello di Loden è travolto da un’irresistibile, straniante ossessione: il cappotto di quello strano cliente, che non conosce, ma ha incrociato per anni nella Saggengasse, non è forse quello di suo zio Worringer, morto suicida?
Come sempre in Bernhard tutto è anomalo: personaggi, situazioni, stile. E in qualche modo prevedibile. In Gelo, il suo primo romanzo degli anni Sessanta, un anziano pittore si isolava in un paesino di montagna e nei labirinti della sua mente dominata da allucinazioni, deliri e verità filosofiche. C’era già tutto il fascino di uno scrittore esaltato a suo tempo da Italo Calvino come il più interessante romanziere europeo vivente. Ma allora la solitudine del protagonista riusciva a proiettarsi anche altrove: verso il mondo primordiale del villaggio e i suoi rozzi abitanti, mentre più tardi, personaggi come il principe Saurau nel romanzo Perturbamento o Konrad ne La fornace si isolano dal mondo o esorcizzano la realtà come finzione e beffa atroce.
Come lo stesso Bernhard, una sorta di extraterrestre ritiratosi a scrivere in un villaggio dell’Alta Austria. In sintonia con i propri personaggi che, lontani dalla realtà, smascherano l’esistenza, anche la propria, come la più orribile fra le menzogne o si lanciano in una centrifuga loquacità per riempire il proprio vuoto, come l’acrobata verso la fine del racconto, alla ricerca della perfezione assoluta ma di fatto destinato al fallimento e alla malattia. Lungo quel sentiero i fratelli sognano l’assolutezza di qualsiasi tipo di arte evocando una libertà che è rifiuto di ogni legame. Libertà dai genitori, rigetto d’ogni sapere accademico. Il dominio assoluto su di sé, suggerisce l’acrobata, nasce solo dalla scuola del respiro che controlla mente, pensiero e corpo
Ma per raggiungere il vertice di ogni performance è essenziale l’arte della presentazione. Peccato che la perenne stanchezza di vivere metta a rischio ogni progetto e induca a odiare tutto: genitori, montagna, acrobazie e scienza. Sempre con la sensazione di essere ormai alla soglia della follia, in un’esistenza che diventa assuefazione alla morte. Si scoprirà alla fine che anche la malga, simbolo del passato, è ormai solo un mucchio di pietre sparpagliate.
Sembra che Bernhard ci prenda gusto a disorientare il lettore che pure ne segue con masochistica curiosità lo zigzagante intreccio mentale. Il miracolo è tutto nella scrittura, ritmica e cadenzata, ricca di contrappunti e di tonalità diverse, dal drammatico all’umoristico, che riesce a rendere leggere e coinvolgenti anche le situazioni più paradossali. Come l’ossessione di Enderer per il loden di quel nuovo cliente con gli occhielli bordati di pelle di capriolo. Perfettamente uguale a quello dello zio annegato nella Sill inferiore. Si chiama Humer quel signore, ha un negozio di articoli funebri e un paio di gravi problemi di cui vorrebbe parlargli. Ma lui gli presta poca attenzione, anzi dapprima è convinto che sia un mercante di bestiame o un mediatore immobiliare, uno di quelli che vanno in giro avvolti nel loro mantello e con il cappello sempre in testa. E anche i fatti più gravi non lo distolgono dal suo sospetto di fondo, tanto più che l’etichetta del loden è simile a quella del cappotto dello zio. Eppure dovrebbe prestare attenzione al racconto del cliente che mescola dolore e inconsapevole comicità.
Il povero Humer si appella all’avvocato per difendersi dall’impudenza di figlio e nuora, cinici e spendaccioni, che poco per volta lo hanno estromesso dall’attività e poi obbligato a lasciare il proprio comodo alloggio di fianco al negozio per salire, di volta in volta, dal primo al terzo piano in ambienti sempre più disagevoli. Nella testimonianza dell’avvocato le due narrazioni corrono in direzioni diverse per poi intersecarsi casualmente dando risalto a dettagli che aggiungono a quei personaggi quasi una dimensione clownesca. Anche qui non c’è speranza, ma solo il senso tragico della vita dietro l’incalzante gag del cappotto. Una notizia di giornale richiama infatti l’attenzione sul suicidio del commerciante H. gettatosi dal terzo piano nella Saggengasse. Che importa, se poi l’ossessivo intuito dell’avvocato è stato adeguatamente premiato: infatti il figlio del defunto, a cui lui si è rivolto, gli consegna quel loden che, guarda caso, era riemerso a suo tempo dalle acque della Sill, il fiume lungo il quale suo padre andava ogni giorno a passeggiare.
Storie bislacche, destini desolati e inconcludenti, in una solitudine senza speranza, perché, come sentenziava il giocoliere nella splendida pièce La forza dell’abitudine: «La vita consiste in ciò: nel vanificare le domande». E forse il tragicomico borbottio dei personaggi di Bernhard ad altro non mira che a ricordare l’insufficienza di ogni possibile risposta.

Bibliografia
Thomas Bernhard, Midland a Stilfs. Tre racconti, traduzione di Giovanna Agabio, Adelphi, p. 121, € 12.–.
Di una solitudine senza speranza
Escono per Adelphi tre stranianti racconti di Thomas Bernhard
/ 08.06.2020
di Luigi Forte
di Luigi Forte