Forse nessuna musica composta per il balletto è stata eseguita come puro brano da concerto, senza coreografie e danzatori, quanto il dittico che giovedì Markus Poschner accosta sui leggii dell’OSI. La Valse di Ravel e Le sacre du printemps di Stravinskij sono pagine celebri e celebrate, soprattutto la seconda cimento ambito e temuto dai direttori per le enormi difficoltà di concertazione e dagli strumentisti per l’intensissimo impegno tecnico richiesto. Al pubblico rimane solo il piacere di ascoltare questi due capolavori, facendosi trasportare idealmente in un passato triplo e mitico: la Russia ancestrale e pagana immaginata da Stravinskij, la Vienna degli Strauss che godeva e consumava i suoi fasti a ritmo di valzer, la Parigi di inizio Novecento brulicante di straordinarie personalità artistiche.
Tra di esse spiccava Sergej Djagilev con i suoi Ballets Russes, cui Stravinskij e Ravel destinarono i loro lavori. È lo stesso musicista russo a raccontare l’idea primigenia della Sagra, compostasi nella sua mente nella primavera del 1910, mentre a Pietroburgo stava terminando l’Uccello di fuoco: «Un giorno – in modo assolutamente inatteso, perché il mio spirito era occupato allora in cose del tutto differenti – intravidi nella mia immaginazione lo spettacolo di un grande rito sacro pagano: i vecchi saggi, seduti in cerchio, che osservano la danza fino alla morte di una giovinetta che essi sacrificano per rendersi propizio il dio della primavera. Fu il tema del Sacre du printemps. Confesso che questa visione m’impressionò fortemente; tanto che ne parlai subito all’amico pittore Nikolaj Roerich, specialista nell’evocazione del paganesimo. Egli accolse l’idea con entusiasmo e divenne mio collaboratore in quest’opera. A Parigi ne parlai pure a Djagilev, che si entusiasmò subito di tale progetto». Fu lo stesso Roerich, redattore assieme a Stravinskij del libretto, a dettagliare in una lettera a Djagilev l’azione evocata dalle note; un racconto che può guidare l’ascolto anche dell’ascoltare d’oggi: «Il mio scopo è presentare un certo numero di scene che manifestano la gioia terrena e il trionfo celestiale secondo la sensibilità degli slavi. La prima scena deve trasportarci ai piedi di una collina sacra, in una pianura rigogliosa, dove le tribù slave sono riunite per celebrare i riti della primavera. (...) c’è una vecchia strega che predice il futuro, un matrimonio dopo un rapimento, danze in tondo. Poi viene il momento più solenne. Il vecchio saggio è condotto dal villaggio per imprimere il suo sacro bacio sulla terra che ricomincia a fiorire. Durante questo rito la folla è in preda a un terrore mistico. Dopo questo sfogo di gioia terrestre la seconda scena suscita intorno a noi un mistero celestiale. Giovani vergini danzano in circolo sulla collina sacra, (...): poi scelgono la vittima che vogliono onorare. (...) ella danzerà davanti ai vecchi vestiti di pelli d’orso per mostrare che l’orso era l’antenato dell’uomo. Poi i vecchioni dedicano la vittima al dio Jarilo». La prima rappresentazione, tenutasi al parigino Théâtre des Champs-Elysées il 29 maggio 1913, destò reazioni opposte, idolatranti e scandalizzate. Ancor oggi la Sagra è considerata il simbolo rivoluzionario della musica moderna nel suo sconvolgere tutti i canoni della bellezza classica, nel suo sprigionare forze di una violenza inaudita.
Curioso ricordare come La Valse, assai meno scandalosa, venne inizialmente rifiutata da Djagilev perché a suo dire «paralizzava ogni varietà coreografica»: per veder danzato questo «poema coreografico» si dovette attendere il 1928, otto anni dopo l’esecuzione solo musicale al Théâtre du Châtelet il 21 dicembre 1920. I temi dei valzer straussiani rintoccano evidenti, ma dopo la tragedia della Prima Guerra Mondiale (cui Ravel aveva inizialmente guardato con entusiasmo) la Vienna di cui erano simbolo non poteva essere più così beatamente luminosa.
Di una forza inaudita
Il 21 ottobre l’OSI proporrà Stravinskij e Ravel – «Azione» mette in palio alcuni biglietti
/ 11.10.2021
di Enrico Parola
di Enrico Parola