Bibliografia
Noëlle Revaz, Ermellino bianco e altri racconti, Casagrande, 2021


Di ermellini e altri drammi

Ora anche in italiano gli stranianti e ipnotici racconti di Noëlle Revaz, tradotti magistralmente da Maurizia Balmelli
/ 06.09.2021
di Roberto Falconi

È una sensazione di salutare destabilizzazione quella che rimane dopo avere terminato i ventinove racconti allineati da Noëlle Revaz nella raccolta Ermellino bianco e altri racconti, ora disponibile anche in italiano grazie alla straordinaria traduzione di Maurizia Balmelli (l’originale, uscito presso Gallimard, è del 2017). Uno spaesamento che nasce dalla stratificazione di tessere autonome capaci di agglutinarsi attorno a una serie di nuclei tematici, sempre tuttavia illuminati da prospettive cangianti (all’interno dello stesso pezzo e nella dialettica tra i singoli racconti e il macrotesto complessivo).

In particolare, mi pare che la raccolta sia attraversata dal motivo, variamente declinato, del distacco e della separazione. A cominciare, evidentemente, dalle relazioni che i diversi personaggi intrattengono tra loro, all’interno del nucleo familiare, nei rapporti di coppia o, più raramente, in ambito professionale. I familiari appaiono spesso come figure ingombranti e castranti: un giovane, a causa della relazione ambigua con la madre, non riesce a costruire nulla di solido con una donna; un bambino non ha il coraggio di avvicinare un amico di giochi perché vive con quattro zie iperprotettive; un nonno confida al nipotino che «preferirebbe saperlo morto, vederlo spappolato sulla strada, o sbranato da qualche animale feroce, o bruciato vivo, piuttosto che sentirgli dire una bugia».

Poi, però, c’è anche la figlia che riesce a riconciliarsi con i genitori quando ne riceve le visite in prigione, a mimare come, paradossalmente, sia la presenza di muri a permettere intimità impossibili all’interno del nucleo domestico. E se ci sono familiari spietati che in un folle delirio di onnipotenza sognano tutto quel che potranno fare «quando nonna sarà morta» (è il pezzo capolavoro che sta esattamente al centro della raccolta), c’è anche il ragazzino che riesce ad addormentarsi solo quando è ospitato per un mese nella casa di campagna di una nonna con cui, di notte, «prende la via del cielo».

Famiglie instabili, dunque, fissate dai due racconti speculari nei quali i bambini protagonisti scoprono di avere una sorellina di cui non sapevano nulla («La mamma apre il suo armadio e dentro c’è una bambina che ci somiglia. Poi strizza l’occhio e nasconde la bambina»), rispettivamente ne vedono sparire una all’improvviso («Le mie sorelle si chiamano tutte Marie. Stasera c’è un problema, e cioè che abbiamo smarrito Marie. Succede, pare»). Per tacere dell’orfanotrofio dal quale si sono congedate, attraverso una lettera dai toni fortemente ambigui, tutte le figure adulte, costringendo i bambini a cavarsela da soli.

Anche le relazioni di coppia appaiono sghembe: ci si muove tra donne pericolosamente dipendenti dai loro uomini e il cinismo di chi afferma la propria spietatezza («non abbiamo bisogno di un uomo, molti di voi ci bastano»); tra il ragazzo che ha un luogo privilegiato in cui portare le proprie fidanzate per comunicare loro la fine della relazione e la coppia di giovani amici che vagheggiano «la bionda con i capelli che le arrivano al sedere e ha sempre una gomma in bocca» ma che finiranno per vivere la loro prima volta con la ragazza che la accompagna, «molto più piccola e normale, con gli occhi come mosche che volano bassi sulle persone».

Ma sono tutte le relazioni indagate da Revaz ad apparire segnate da un tratto dissonante, da un disallineamento che spazia entro l’arco idealmente tracciato dal professore di una scuola d’arte sempre più insofferente di fronte alla spavalderia egocentrica dei propri studenti («I miei studenti mi hanno detto che avevo torto e che loro intendevano inventare qualcosa che non fosse già stato fatto o visto. Li ho lasciati alla loro ingenuità») e l’autista di bus ossessionato da un passeggero che decide di far fuori a qualsiasi costo.

I pezzi migliori mi paiono quelli in cui questa conflittualità interpersonale viene interiorizzata e si fa intrapsichica, determinando identità lacerate. Come nel caso del ragazzo che ha imparato talmente bene le buone maniere da non dire più «io», lasciandosi dunque morire in fondo a un crepaccio dal quale non osa chiedere aiuto; o della bambina che dà il titolo all’intera raccolta, la cui mente, specie nelle giornate di neve, fugge e si diverte a giocare con gli ermellini, fino a quando si perde e non sa più trovare la strada di casa. Anche il rapporto con lo spazio e la natura, infatti, appare problematico: gli animali che soffrono vanno abbattuti; la paura della campagna va anestetizzata attraverso la costruzione di strade che prolunghino la città.

Storie di (stra)ordinaria solitudine, rese da una lingua magmatica e visionaria, a tratti onirica; la lingua di chi scrive (o dà l’impressione di scrivere, che è poi la stessa cosa) per sé, senza preoccuparsi troppo di chi legge. Meriterebbe pertanto un discorso a parte lo splendido lavoro di Maurizia Balmelli, che, ancora una volta, non ha tradotto un libro, ma lo ha scritto; restituendo una complessità e un’ambiguità icasticamente fissate dal racconto in cui una donna sa fin dall’inizio che il suo uomo, che si crede irresistibile, non è poi così forte, perché spesso «l’osservatore non sa di essere osservato».