È da pochi anni che Francesco Carozza, nato in provincia di Bergamo nel 1974, si dedica all’attività di pittore. Eppure il suo legame con l’arte è di lunga data: figlio di appassionati collezionisti capaci di trasmettergli fin da piccolo l’amore per il bello, è diventato lui stesso estimatore e raccoglitore entusiasta dell’opera di molti maestri che hanno contribuito a modellare nel tempo la sua visione estetica e che sono stati un’imprescindibile fonte di ispirazione per le sue creazioni.
Quella allestita negli spazi della Cortesi Gallery di Lugano fino alla metà di febbraio è la seconda mostra personale di Carozza, una rassegna che fa idealmente seguito alla prima esposizione a lui dedicata, tenutasi presso la Galleria Seno di Milano nel 2018, e che presenta al pubblico gli sviluppi più recenti del suo lavoro.
Sebbene ancora agli esordi, l’indagine di Carozza è già contraddistinta da un’impronta personale ben precisa. Se da una parte, infatti, nelle opere del pittore italiano si ritrovano riferimenti tecnico-formali ai maestri da lui più amati (basti citare, su tutti, Lucio Fontana, artista che ha intrapreso la ricerca di un’apertura verso l’altrove, verso una nuova dimensione), dall’altra risulta evidente la sua attitudine a elaborare un linguaggio dalla sensibilità autonoma con l’obiettivo di riflettere sui valori che definiscono l’attività compositiva e di rivisitare il rapporto tra gli elementi che la caratterizzano.
Dapprima c’è la materia. Carozza si affida alla pittura acrilica stendendo generosamente sulla tela diversi strati di pigmento, a creare una superficie corposa che conferisce al dipinto una valenza quasi scultorea. Le sovrapposizioni di materia rivelano i gesti fluidi e controllati dell’artista dando vita a uno spazio vibrante dove pieghe e increspature animano la trama pittorica.
Poi c’è il colore. Carozza fa uso di una palette cromatica molto vivace definita da accostamenti audaci e contrastanti che richiamano alla mente le visioni scintillanti della Pop Art americana. Un universo coloristico, quello dell’artista, popolato da vividi gialli limone, da rosa shocking, da blu e viola penetranti, da bianchi immacolati e da fulgidi ori e argenti.
Infine c’è la forma. Carozza elegge il cerchio a immagine esclusiva dei suoi lavori. Questa figura geometrica, sia che campeggi solitaria al centro dell’opera sia che venga rappresentata più volte a generare ritmi ed equilibri ricercati, non appare mai perfetta. I suoi contorni sono irregolari, «disturbati» dalle consistenti e mutevoli pennellate di colore che ne acuiscono la potenza grafica. Il cerchio, vessillo di armonia e di perfezione totale, di moto perpetuo e di rinascita, incarnazione per eccellenza del concetto di infinito nonché sintesi dei contrasti, diventa così per Carozza protagonista assoluto del dipinto, ad amplificare con la sua foggia e con tutto il suo portato simbolico il movimento palpitante dello spazio pittorico.
Come testimoniano bene le opere raccolte in mostra, una ventina circa, tutte realizzate tra il 2019 e il 2021, questi cerchi dalle tinte impetuose emergono dal magma degli sfondi monocromi diventando il nucleo visivo attorno a cui la materia stessa si emancipa e si estende senza alcun vincolo compositivo. Con una gestualità sospesa tra libertà e controllo l’artista colma la tela di abbondante colore ricordando nell’esito finale le dense pennellate «congelate» di alcuni maestri della pittura d’azione e dell’espressionismo astratto.
Ed è interessante notare come le spesse falde di pigmento, modificandosi durante il processo di asciugatura, diano vita a pattern sempre diversi. La superficie appare talora percorsa da un fitto intreccio di screpolature, evidente richiamo ai celebri Cretti di Alberto Burri, dove la crepatura della materia non solo evoca l’idea del trascorrere del tempo, ma diventa un elemento per potenziare l’efficacia espressiva e decorativa dell’opera. Altre volte, è il caso ad esempio delle composizioni di Onirico V in cui Carozza sceglie di utilizzare il velluto come supporto su cui dipingere (qui il rimando è a Piero Manzoni), lo strato pittorico forma minuscole bolle o piccole fessure da cui si intravede l’intenso colore porpora del tessuto sottostante, tagli che invitano lo sguardo ad andare in profondità.
Non a caso, infatti, tutti i lavori esposti a Lugano recano il titolo Onirico, sottolineando come per Carozza l’arte sia lo strumento attraverso cui portare a galla con vigore ed energia la sua sfera visionaria e i più reconditi recessi del suo inconscio, proprio come i suoi prorompenti cerchi colorati vengono fatti affiorare dagli impasti di materia che li accolgono.