«Ho scritto il libro che avrei voluto leggere quando ho cominciato come guida e interprete a Lascaux»: ci dice lo stesso autore, approdato per caso da Parigi a Montignac dove da quasi vent’anni accompagna i visitatori nelle grotte considerate «la cappella Sistina della preistoria». Scoperte nel 1940, aperte al pubblico nel 1948, attirano centinaia di migliaia di visitatori all’anno, un flusso che mette ben presto in pericolo l’integrità di questi fragili reperti, al punto che l’allora ministro della cultura francese Malraux ne decreta la chiusura nel 1963. Si pensa così a riprodurre in parte queste grotte costruendo accanto Lascaux II inaugurato nel 1983, al quale segue un nuovo facsimile ad alta definizione, che si trova nel tecnologico Lascaux IV, il nuovo Centro internazionale di arte parietale sorto ai piedi della collina di Montignac nel 2016.
Il saggio di Gwenn Rigal – che si definisce «dilettante informato» – nasce da un sentimento di frustrazione; quella di dover riassumere in pochi minuti i risultati di anni di ricerche condotte sull’arte parietale. «La maggior parte delle domande di chi visita le grotte comincia con un perché o con un come», domande che io stesso mi sono posto più volte. Ecco allora l’esigenza di rendere conto delle ipotesi formulate dalla comunità scientifica, senza far prevalere l’una o l’altra: il risultato è un ampio saggio riccamente illustrato e documentato, attingendo alla bibliografia più recente, scritto in un linguaggio accessibile, pensato per chi specialista non è, ma senza cedere alle semplificazioni.
L’anello mancante, insomma, tra il ricercatore e il visitatore moderno, ancora nutrito da luoghi comuni come l’idea che gli uomini di Cro-Magnon o Homo sapiens, autori di queste decorazioni parietali risalenti al Paleolitico superiore, fossero esseri bestiali incapaci di comunicare tra loro. «Si tratta di uomini anatomicamente moderni, che con un completo e cravatta potrebbero passare inosservati in una metropolitana di Parigi», ci racconta Rigal che nel suo saggio traccia un accurato ritratto di questa società di cacciatori-raccoglitori che ci ha lasciato le tracce di una delle forme d’arte più antiche al mondo (recenti datazioni ne collocano gli inizi a oltre 40mila anni fa), che abbraccia un periodo di 30mila anni circa e si estende sul territorio europeo, in particolare in Francia, Spagna e in Italia.
La scoperta di quest’arte risale al 1879 con i bisonti del soffitto policromo della grotta di Altamira: da allora si succedono le teorie interpretative che, scartata l’ipotesi di «arte per l’arte», hanno stabilito la vocazione utilitaristica e spesso soprannaturale di questi dipinti e disegni che rispondevano a logiche ben precise, «strutturate secondo chiare regole organizzative», in cui conta anche la topografia delle grotte. Questi Homo sapiens dunque – pur nella pluralità di stili regionali - non disegnavano qualunque cosa, né disegnavano a caso, come dimostrano le invarianti che caratterizzano lo stile parietale. Fin dagli esordi questi artisti dimostrano di padroneggiare le tecniche, come confermano per esempio la «bellezza e la potenza evocativa» delle opere naturalistiche scoperte nel 1994 nella grotta Chauvet, nelle gole dell’Ardèche.
Si tratta di un’arte composta da segni e da figure di animali – dai tori della grotta di Lascaux ai bisonti di Altamira; i nostri diretti antenati dimostrano una vera passione per la megafauna, essenzialmente i grandi erbivori, come cavalli, bisonti, uri, cervi, stambecchi e mammut. Poco rappresentate invece le renne, gli animali sistematicamente cacciati dagli uomini del Paleolitico superiore; un bestiario raffigurato per lo più «a riposo» e di profilo, in composizioni e sovrapposizioni che raramente raccontano scene (sono assenti gli elementi di paesaggio) o azioni, tranne qualche eccezione, come la famosa scena del pozzo a Lascaux.
All’inizio si sviluppano teorie legate alla magia della caccia, che vede in queste figure di animali una sorta di «vudu grafico» basato sull’incantamento dell’immagine; teoria provata dalle grotte in cui gli animali sono trafitti dai segni-trattini. Ma presto si fanno strada altre ipotesi, legate all’animismo, allo sciamanesimo e al totemismo, di cui Rigal riassume meticolosamente le ragioni dei sostenitori e le obiezioni degli scettici. Resta il fatto che questi uomini per dipingere sono scesi in luoghi particolari come le grotte, buie, silenziose, fredde e umide, hanno esplorato la rete dei cunicoli sotterranei e compiuto equilibrismi per dipingere animali «su in alto come a Bernifal e Chauvet» oppure «strisciato per centinaia di metri per dipingere un bisonte che nessuno avrebbe mai visto in uno stretto cunicolo di Bédeilhac». Aspetti che fanno pensare a una motivazione potente, come quella religiosa.
Rigal accompagna così il lettore lungo la rete di cunicoli generati dalle ipotesi che nel tempo si sono accumulate, avendo cura di citare esempi e fornire i riscontri visivi grazie a illustrazioni e immagini che corredano quasi ogni pagina. Due sono stati gli eventi fondamentali nella storia dell’umanità, ci ricorda lo scrittore francese George Bataille in un testo dedicato a Lascaux nel 1955: la comparsa degli utensili (e del lavoro) con l’homo faber e la nascita dell’arte. Ecco perché secondo lo scrittore francese l’arte parietale a Lascaux coincide con il «risveglio da un lungo sonno» che segna il passaggio a un homo ludens capace di rispondere al desiderio di meraviglioso e prodigio, creando il mondo che stava raffigurando.