Dove e quando

Bruce Nauman. Neons, Corridors and Rooms, Pirelli Hangar Bicocca

Via Chiese 2, Milano, fino al 26 febbraio. Gio-do 10.30-20.30.

www.pirellihangarbicocca.org

(© 2022 Bruce Nauman / SIAE
Courtesy l’artista; Sperone Westwater, New York, e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto Agostino Osio)

Dentro i corridoi e i riflessi dell’essere

Le opere ambientali di Bruce Nauman protagoniste della retrospettiva all’Hangar Bicocca di Milano
/ 02.01.2023
di Elio Schenini

Oltre al fatto che è unanimemente riconosciuto come uno degli artisti più importanti e influenti del nostro tempo, tra le molteplici ragioni per non perdere la mostra che l’Hangar Bicocca di Milano dedica a Bruce Nauman, vi è anche la possibilità di godere di un’opportunità piuttosto rara: quella di essere per un’ora intera gli unici a poter fruire in maniera esclusiva di una sua opera. L’opera in questione è Kassel Corridor. Elliptical Space, una grande installazione ambientale che Nauman ha realizzato per la più dirompente tra le edizioni della Documenta, quella del 1972 diretta da Harald Szeemann.

I curatori della retrospettiva milanese hanno deciso di focalizzarsi sulle opere dell’artista americano che indagano la dimensione spaziale e architettonica

Secondo quanto stabilito dall’artista, l’installazione dev’essere resa accessibile a una sola persona alla volta per la durata di un’ora. Per poter usufruire di questa possibilità occorre prenotare all’ingresso del museo una delle fasce orarie disponibili. All’orario per il quale si è prenotato, lo spettatore riceve la chiave della porta ritagliata in maniera quasi impercettibile su un lato della struttura e può così accedere allo spazio che si cela al suo interno. Per tutta la durata in cui le chiavi sono in suo possesso il visitatore è libero di fare ciò che preferisce, salvo cedere il proprio posto a qualcun altro. Può quindi entrare o uscire a piacimento dalla struttura oppure, sempre che non soffra di claustrofobia, decidere di rimanere per tutto il tempo all’interno dallo spazio angusto delimitato dalle due alte pareti realizzate con pannelli in legno.

Caratterizzato da una doppia curvatura ellittica, lo spazio interno ha una larghezza al centro, in corrispondenza della porta, di circa 50 centimetri per poi restringersi rapidamente sui due lati, fino ad arrivare a una larghezza massima di una decina di centimetri. Alle due estremità vi sono delle strette aperture, così che chi si trova all’esterno può sbirciare all’interno della struttura e quindi anche osservare i comportamenti del suo temporaneo inquilino, mentre per chi è all’interno vi è solo la possibilità di avere uno spaccato molto limitato di ciò che avviene fuori, visto che a causa dell’angustia dello spazio non si può avvicinare a queste aperture. Questa minuscola enclave all’interno dello spazio espositivo diventa così il fulcro di un campo estremamente concentrato di forze da cui scaturisce un’intensa relazione dinamica che coinvolge non solo la percezione del tempo e dello spazio, ma anche il rapporto tra osservatore e osservato, tra pubblico e privato.

Nati come semplici apparati scenografici all’interno dei quali ambientare performance realizzate in prima persona nello studio e riprese con la videocamera, come nel caso di Walk with Contrapposto del 1968, i «corridoi» sono stati rapidamente trasformati da Nauman, anche su suggerimento della curatrice e storica dell’arte Marcia Tucker, in vere e proprie installazioni ambientali che si attivano attraverso la presenza degli spettatori e i cui antecedenti possono essere rintracciati in Passageway del 1961 di Robert Morris o in alcuni degli ambienti spaziali che Lucio Fontana ha realizzato tra il 1949 e il 1968. Ambienti, questi ultimi, come forse molti ricorderanno, al centro di una memorabile mostra proposta sempre dall’Hangar Bicocca nel 2018.

Pur includendo anche alcune celebri sculture al neon, come One Hundred Live and Die (nella foto) o The True Artist Helps the World by Revealing Mystic Truths, oltre ad alcune installazioni video, i curatori della retrospettiva milanese hanno deciso di focalizzarsi sulle opere dell’artista americano che indagano la dimensione spaziale e architettonica. Una dimensione sulla quale l’attenzione di Nauman si è concentrata in modo particolare tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta, ma sulla quale ha continuato a riflettere anche nei decenni successivi, come documenta bene la mostra.

Stretti al punto da costringere gli spettatori ad attraversarli camminando di lato, privi di uscita così da accentuare i sentimenti claustrofobici, inondati da disturbanti luci al neon verdi o gialle, convergenti verso un unico punto cieco, popolati di specchi, telecamere e monitor, animati da registrazioni vocali, delimitati da gabbie di metallo inserite l’una nell’altra, i numerosi «corridoi» realizzati da Nauman hanno la forza di sottrarci agli automatismi percettivi della quotidianità e alla distratta assimilazione di ciò che ci circonda. Nelle strutture anonime ma cariche di tensione di questi corridoi che richiamano nella loro astratta neutralità le architetture dentro cui si svolgono le nostre vite, Nauman spinge lo spettatore a un’acuità percettiva dello spazio, del tempo e della sua relazione con gli altri, che inevitabilmente assume una valenza filosofica. Sono, in altre parole, installazioni ambientali in cui l’essere umano è costretto a confrontarsi con l’enigma della propria presenza corporea e con le domande essenziali che essa pone.

A dispetto del look da cowboy che mostra spesso nei ritratti fotografici realizzati dopo il 1979, anno in cui ha deciso di lasciare Los Angeles per andare a vivere in una fattoria isolata del New Mexico, Bruce Nauman è un artista estremamente colto, un artista la cui opera si nutre profondamente di quelle letture che, come ha raccontato lui stesso in un’intervista, costituiscono una delle sue occupazioni principali durante le lunghe ore trascorse nello studio.

Tra gli autori che più di altri hanno influenzato il suo lavoro vi sono fin dagli inizi soprattutto Samuel Beckett e Ludwig Wittgenstein. Proprio l’interesse per il linguaggio che caratterizza il pensiero del filosofo austriaco e la sua teoria dei giochi linguistici sono uno degli elementi essenziali della ricerca di Nauman, che nelle sue opere ha fatto spessissimo uso delle parole. Nel caso delle opere ambientali questo significa soprattutto registrazioni sonore di voci che si sovrappongono e modellano la nostra percezione dello spazio, come nel caso della beckettiana Get Out of my Mind. Get Out of This Room del 1968, che trasforma uno spazio vuoto illuminato unicamente da una lampadina che penzola dal soffitto in uno spazio mentale, o come nella grande installazione sonora pensata nel 2004 per la Turbine Hall della Tate Modern, che qui viene riproposta all’esterno come una sorta di lungo corridoio immateriale, delimitato sui due lati da 21 registrazioni audio provenienti da lavori precedenti dell’artista. Un corridoio impalpabile che con il suo ritmo sincopato, ci accompagna come una lunga dissolvenza all’uscita.

Eppure, siamo certi che anche dopo essere usciti dall’Hangar Bicocca, la voce di Bruce Nauman continuerà a riecheggiare nella testa di molti e per qualcuno sarà difficile levarsela dalla mente.