Eclettico e britannico, Joe Jackson


Deliziosi esperimenti

Una conferma di classe: Joe Jackson, «gentleman» per eccellenza del pop inglese più raffinato, torna a deliziare i suoi fan con un nuovo, riuscitissimo lavoro
/ 04.03.2019
di Benedicta Froelich

Si può dire che, nell’ambito della musica angloamericana anni 80, l’ormai 64enne britannico Joe Jackson abbia rappresentato, fin dai suoi esordi, una sorta di anomalia. In un’era di pop spesso effimero, soffocato dall’uso improprio ed eccessivo di sintetizzatori e drum machines, Jackson si è, infatti, presto distinto tra gli artisti del decennio per il suo grande amore per le contaminazioni sonore e le sortite in atmosfere tipiche di generi più «elevati»: un’attrazione che lo ha portato a prodursi in exploit collocabili a metà strada tra la new wave inglese e il cool jazz (senza disdegnare nemmeno certa musica ska!), al punto da divenire uno dei nomi più conosciuti e rispettati del cosiddetto «sophisti-pop» – simbolo della raffinatezza vagamente démodé alla quale Joe si è, in effetti, rifatto per tutta la sua carriera, rimanendo sempre fedele al proprio, caratteristico sound.

Quella stessa maestria si ritrova oggi nell’attesissimo ritorno discografico dell’artista, uscito a quattro anni di distanza dal precedente Fast Forward. E questo Fool è, in effetti, pervaso da intriganti e inaspettate commistioni ed esperimenti stilistici, evidenti fin dalla traccia d’apertura, l’ottima Big Black Cloud: un brano dal grande vigore espressivo e narrativo, che ripropone le sonorità urbane da sempre care a Jackson (e il suo uso sapiente del pianoforte come principale strumento di supporto e accompagnamento), dando vita a un affresco inquietante delle quotidiane frustrazioni tipiche di una normale famiglia della middle class inglese; il tutto impreziosito dall’elegante coda jazzata che chiude il pezzo. 

E questa fedeltà di Joe alle peculiari sfumature «vintage» del suo abituale songwriting significa anche ritornare allo stile più fresco e ritmato dei tempi d’oro, come nell’accattivante e irresistibile Friend Better – e, in chiave differente, in Alchemy, la lunga e ipnotica traccia di chiusura, vero e proprio esercizio di stile caratterizzato da avvolgenti tappeti sonori e atmosfere soffuse ed eleganti. Da parte sua, il più convenzionale Fabulously Absolute è in tutto e per tutto un brano squisitamente anni 80, che potrebbe definirsi come una surreale miscellanea di vari sound dell’epoca – un incrocio tra gli exploit più cantautorali degli Smiths di Morrissey e alcuni tra i deliri più riusciti dei Cure. 

E seppure questa traccia sia forse un po’ troppo inflazionata da citazioni per risultare davvero coinvolgente, è pervasa dallo stesso spirito surrealista dal sapore «British» riscontrabile anche in una piccola gemma come Dave – un pezzo agrodolce dalle sfumature a cavallo tra critica sociale e nichilismo esistenzialista, che ricorda vagamente lo stile del giovane Bowie (miscelato, però, al gusto degli XTC e perfino di certo britpop anni 90).

Ma la cosa davvero intrigante di questo Fool è che Jackson si dimostra ancora in grado di stupire il suo pubblico, combinando sfumature musicali anche molto differenti tra loro: ne è un esempio la struggente ballata Strange Land, quasi un pezzo da manuale sul personale, sotterraneo senso di estraniamento a cui nessuna persona realmente sensibile può davvero definirsi immune. Tuttavia, la vera, grande sorpresa è l’irresistibile title track, in grado di mischiare con impeccabili sagacia e ironia suggestioni narrative in puro stile da folk americano dei tempi andati e atmosfere etniche anni 60-70, con tanto di assoli di sitar e inserti sudamericani – i quali lasciano poi il posto a un’improvvisazione jazz tra pianoforte e basso e a uno stile vocale che richiama, in più di un passaggio, l’irriverenza del Joe Strummer d’antan.

Soprattutto, una delle caratteristiche più meritevoli dell’album sta nell’originalità lirica di Joe, i cui testi rimangono esempi di un’inventiva dalla forte valenza emozionale, come accade con la sorprendente 32 Kisses, riflessione amara (e assai veritiera) sull’impietoso trascorrere del tempo e su come gli unici a uscire indenni dall’allucinante giostra delle aspettative tradite siano «i pochi fortunati a cui è concesso di avere una vita».

Sono proprio queste suggestioni, di volta in volta in bilico tra il più disarmante candore e una dolorosa e cocente disillusione, a fare di Fool un disco di alto valore sia dal punto di vista lirico, che da quello squisitamente melodico – e, quasi sicuramente, uno dei migliori sforzi discografici di quest’ancora giovane annata 2019. E dato che il songwriting di Jackson dimostra qui una capacità di coinvolgimento emotivo ancor più marcata che in passato, non sarebbe esagerato affermare che questo nuovo lavoro sia uno dei migliori mai firmati dal britannico.

Anche perché, per chiunque ami davvero il pop anglosassone d’alto livello nella sua accezione più cantautorale, un album come Fool non costituisce soltanto una graditissima sorpresa, ma anche, in fondo, un’autentica consolazione – un prezioso quanto necessario rimedio alla troppa musica pop plastificata e «ready-made» a cui le classifiche ci hanno ormai abituati.