True Love Will Find You In The End canta Daniel Johnston in uno dei suoi brani più celebri, sorta di manifesto in favore di una vita vissuta in nome dall’amore malgrado le difficoltà di un quotidiano non sempre tenero. Sì perché diciamolo fin dall’inizio, Daniel Johnston non ha certo avuto un’esistenza facile: schizofrenia e disordini bipolari, senza dimenticare i problemi fisici che l’hanno accompagnato negli ultimi anni della sua vita (Johnston si è spento l’11 settembre nella sua casa di Waller, Texas). Gli ostacoli che ha dovuto superare, legati soprattutto alla sua personalità «atipica», sono stati molti e le battaglie spesso cruente. Quello che lo rende però unico è il fatto che non ha mai fatto mistero dei suoi problemi mentali. Al contrario ha utilizzato la sua diversità come arma in difesa di una creatività al di là di ogni categorizzazione.
Diventato con gli anni una figura culto della scena musicale alternativa e precursore di correnti quali il rock slacker e la scena antifolk newyorkese, Johnston non è però sempre stato preso sul serio. «Alcune persone mi apprezzano e altre si prendono gioco di me considerandomi una specie di freak show» afferma alla rivista statunitense «Rolling Stone» nel 1994, prima di aggiungere con quella dose di candore e umorismo che l’ha sempre contraddistinto: «se la gente prendendosi gioco di me si diverte, per me va bene. Li sto intrattenendo. Forse sono più attore di quanto pensino».
Con queste parole intende forse sottolineare che non è necessario né tantomeno efficace rispondere alle provocazioni con l’aggressività. Quello che funziona è invece destabilizzare l’aggressore assumendo fino in fondo quello che si è veramente, artisticamente ma anche e soprattutto umanamente. Pochi come lui hanno avuto il coraggio di parlare apertamente di tematiche difficili e scomode come la malattia mentale, la sessualità o la rabbia e l’amarezza del rigetto amoroso.
Malgrado i suoi problemi psicologici e fisici lo accompagnassero ovunque e ne influenzassero indubbiamente la produzione artistica, sarebbe ingiusto considerarlo semplicemente un ragazzino superdotato che scrive canzoncine pop accompagnato dal suo piano giocattolo. Un giudizio di questo genere, decisamente semplicistico, metterebbe in ombra quello che conta veramente: il suo talento musicale, la sua inconfondibile voce roca da tenore registrata con un dittafono portatile e la sua inimitabile tecnica pianistica: inventiva ed elegante, riconducibile tanto ai Beatles quanto al music hall. Tragica e a tratti esilarante, la sua vita ha alimentato i suoi testi senza però diventarne schiava.
Negli ultimi anni il suo talento musicale e cantautorale è stato rivalutato dalla critica ricordandoci che dietro il «personaggio Johnston» si nasconde un artista consapevole e determinato. Il nostro menestrello Do It Yourself (DIY) ha sempre scritto basandosi su di una cosmogonia personale precisa, abitata da Dio e Satana ma anche da King Kong, Capitan America, Casper e Joe, un pugile agguerrito con la testa cava.
Questo suo essere costantemente esposto, a fior di pelle e di una sincerità disarmante, gli è valsa l’ammirazione di artisti della fama di Kurt Cobain (che lo ha definito come uno dei più grandi cantautori esistenti), o ancora Tom Waits, Paul Leary dei mitici Butthole Surfers, dei Wilco e più recentemente Zola Jesus. Molti anche gli artisti che si sono cimentati in cover di suo brani: Flaming Lips, Death Cab for Cuties, Bright Eyes, Beck ma anche e forse più sorprendentemente Lana Del Rey (che di alternativo ha ormai poco).
Quando Daniel Johnston aveva diciannove anni non pensava a chi invitare al ballo del liceo ma piuttosto a quale sarebbe stata la prossima storia da raccontare. Rintanato nel seminterrato della casa dei suoi genitori nel West Virginia, le sue giornate scorrevano in una sorta di dolce e rassicurante solitudine. La vita di Johnston è sempre stata marcata da una creatività straripante che si è manifestata sotto forma di disegni di creature immaginarie, film in super 8 e soprattutto testi di canzoni usciti direttamente dalla sua anima.
Il materiale sonoro fatto di canzoni registrate con l’aiuto della sua boombox cresce giorno dopo giorno diventando una vera e propria sinfonia autobiografica. La sua prima cassetta, Songs of Pain (1981), parla di una ragazza (vera e propria musa) di nome Laurie di cui Johnston è innamorato senza essere ricambiato. L’album parla dei piccoli e grandi tormenti di un post adolescente che non riesce o forse semplicemente non vuole conformarsi alla società. Songs of Pain è diventato un album culto, un ufo nel panorama musicale dell’epoca e un esempio ineguagliabile di sincerità artistica. Solo Johnston riesce a conciliare nello stesso album canzoni dalle melodie pop struggenti, testi che parlano di masturbazione e urla di sua madre che lo sgridano come se fosse un ragazzino.
Il suo secondo rifugio è stato la casa di suo fratello, trasformata in sala di registrazione e negozio dove vendere le sue cassette DIY. In questo luogo al contempo famigliare e rassicurante ma anche artisticamente dantesco nascono altri due capolavori: Yip/Jump Music e Hi, How Are You. Trasferitosi ad Austin, Daniel Johnston decide di autopromuoversi regalando le sue cassette in giro per la città. Una mossa vincente che lo porta inaspettatamente alla ribalta. MTV gli regala un’apparizione nel programma The Cutting Edge e l’ammirazione di artisti quali Sonic Youth e Butthole Surfers. Atlantic si interessa al fenomeno Johnston producendone l’album Fun (1994) che malgrado le aspettative sarà un flop commerciale. Anche se l’album rimane uno dei più toccanti e cristallini della carriera del pop singer di Austin.
Il suo ultimo lavoro, Space Ducks, del 2012 è una sorta di condensato del suo mondo fantastico, colonna sonora per un album di fumetti uscito direttamente dalla sua testa. Johnston ha scritto così tante canzoni diventate iconiche che non sorprende sia diventato il modello di artisti decisi a produrre, come lui, al di fuori dell’industria musicale. Johnston ha sempre fatto tutto da solo, a modo suo, guidato da una creatività senza limiti. DIY fino in fondo, il nostro eterno teenager ha ridato splendore alla diversità.