Crosby come la fenice

Un altro centro perfetto: il nuovo sforzo dell’inossidabile David Crosby lo conferma come un maestro che l’età ha, se possibile, reso ancor più abile e magistrale di un tempo
/ 06.11.2017
di Benedicta Froelich

Nell’ambito dei cosiddetti «vecchi leoni» del rock angloamericano, il 76enne californiano David Crosby rappresenta senz’altro un caso degno di particolare interesse. Dopo essere stato uno dei pionieri del soft rock della scena west coast anni  60 e 70 e aver dato vita alle epopee dei Byrds e del supergruppo Crosby, Stills & Nash (al quale si è saltuariamente unito anche Neil Young, dando origine all’acronimo CSNY), una volta superata la boa del mezzo secolo d’età, Crosby si è dedicato alla formazione dei CPR (Crosby, Pevar & Raymond) incappando però, nel frattempo, in scandali e disavventure di ogni tipo. Dai vari problemi di salute a quelli legali dovuti a droga e alcool, fino al discusso trapianto di fegato e alla vicenda del figlio «perduto» e ritrovato solo in età adulta. Il povero David appariva a molti come un relitto hippie dall’interesse ormai essenzialmente folcloristico; e forse più di un critico musicale è rimasto sbalordito dalla potenza creativa che l’artista, oggi più vivace e attivo che mai, ha mostrato negli ultimi quattro anni. Anche perché Crosby, che prima del 1971 non aveva mai tentato la strada solista, è rimasto un autore timoroso fino all’avvento del nuovo millennio, limitandosi a tre album nell’arco di altrettanti decenni, ma con l’uscita dell’eccellente Croz, nel 2014, qualcosa sembra essere d’un tratto cambiata in lui. Stupitosi della grazia con la quale era riuscito a esprimersi, e incoraggiato dall’ottimo successo di critica ottenuto anche dal successivo Lighthouse (2016), il Crosby solista si è infine «emancipato», al punto da dare oggi alle stampe il suo terzo sforzo in quattro anni: il nuovissimo Sky Trails, che appare subito come un altro centro perfetto, sia dal punto di vista lirico che musicale.

Infatti, fin dalla traccia d’apertura, She’s Got to Be Somewhere, troviamo un interessante mix di sonorità e suggestioni: l’ascoltatore più attento può facilmente avvertire echi del Donald Fagen dei tempi di The Nightfly (1982), così come dei suoi Steely Dan.  Lo stesso sound si ritrova anche in un brano di forte critica sociale come l’amaro Capitol, incentrato sull’avidità che caratterizza la sedicente «democrazia» a capo degli States, nonché del resto del mondo. Particolari che dimostrano come, contrariamente a quanto accade di solito, per Crosby le necessità dell’easy listening, da sempre incentrato sulla piacevolezza del suono e dell’esperienza d’ascolto, non finiscano mai per offuscare la rilevanza dei testi (come del resto era avvenuto anche con Croz, esempio di grande intensità tematica e lirica coniugate a perfetta orecchiabilità).

È quindi un piacere notare come un autentico vigore compositivo permei anche brani vibranti come il metaforico Sell Me a Diamond, panoramica agrodolce sull’impossibilità di lasciar andare il passato per godere davvero di un presente promettente, e il suadente Here It’s Almost Sunset, reminiscente del più puro cantautorato west coast di un tempo e impreziosito dall’ottimo sax soprano di Steve Tavaglione. Before Tomorrow Falls On Love è invece un pezzo rarefatto e quasi sospeso, dai toni romantici e vagamente soul, che tuttavia non sfociano mai nell’abituale «happy end», lasciando nell’ascoltatore un senso di ambigua e incompiuta aspettativa; un po’ come accade con Somebody Home, brano dal respiro dolente e malinconico, in cui la voce ipnotica di Crosby mostra un tono e un’inflessione ancora incredibilmente giovanili. Uno degli esperimenti più interessanti del CD è poi Curved Air, caratterizzato da contaminazioni stilistiche molto intriganti, che vedono convivere curiosi richiami al flamenco con un certo rock sperimentale anni 70 sulla scia degli Yes e di Arto Lindsay; e se è vero che la cover di Amelia, storico brano di Joni Mitchell sulla sfortunata aviatrice Amelia Earhart, poco aggiunge alla poetica un po’ zuccherina dell’originale – apparendo come l’unica traccia non esattamente fondamentale del CD – bisogna dire che, per contro, una ballata lunga e toccante come Home Free riesce, nonostante gli accenti delicati, a non scadere mai davvero nel melenso. Al punto che appare difficile trovare in quest’album alcuna reale mancanza – soprattutto alla luce di un pezzo ammaliante e magnetico quale la title track Sky Trails, cantata in coppia con Becca Stevens e ammantata di atmosfere oniriche e quasi new age, senza tuttavia soffrire di alcuna dell’abituale pacchianeria tipica del genere.

Soprattutto, quest’album dimostra come oggi il grande merito di David Crosby appaia risiedere nella sua capacità di assoluta e stimolante reinvenzione: se, fino a pochi anni fa, gli scettici potevano ritenerlo una stella ormai tramontata, la sua attuale seconda giovinezza lo conferma come uno dei maggiori «tesori nazionali» che il cantautorato americano possa ancora vantare. Motivo in più per non trascurare un’uscita discografica preziosa come quella costituita da Sky Trails – augurandosi che sia solo uno di molti nuovi capolavori a venire firmati dal buon Crosby.