Bibliografia

Willy Schwarz, «Mio amatissimo fratello». Fuga da Milano (1943-45). A cura di Sandro Gerbi, Edizioni Casagrande, 2022


Cronache inedite dalla bufera

Le lettere di Willy Schwarz al fratello Franco (1943-45)
/ 12.12.2022
di Pietro Montorfani

Il racconto e lo studio delle terribili esperienze della Seconda guerra mondiale sono giunti oramai da qualche anno a un punto di svolta: il progressivo venire meno dei testimoni diretti, dopo un primo momento in cui avevano prevalso rimozione e silenzio (emblematica la fatica di Primo Levi, cui Einaudi rifiutò inizialmente la pubblicazione di Se questo è un uomo), impone oggi un radicale ripensamento di strategia nella narrazione delle pagine più cupe del Novecento. Il capitolo incarnatosi in figure forti e carismatiche come quelle di Elie Wiesel, Simon Wiesenthal, Sami Modiano o Liliana Segre è destinato infatti a chiudersi per sempre e molto presto, ma non può chiudersi per questo – assieme alla voce fisica dei testimoni – la nostra consapevolezza di quelle esperienze. Troppo attuali rimangono purtroppo i temi della discriminazione e del genocidio.

In quest’ottica diventano tanto più preziosi i documenti che continuano a emergere da archivi pubblici e privati, magari non innovativi dal punto di vista della lettura generale dei fenomeni, ma ricchi di dettagli e sfumature che suggeriscono comunque interpretazioni nuove. Quello della ricerca storica è infatti, inutile illudersi, un cantiere mai finito, anche alle nostre latitudini. Si prendano ad esempio i diari della piccola Bruna Cases, pubblicati a inizio anno da Abendstern. O il carteggio dei coniugi Sommaruga, oggi all’Archivio federale di Berna. I documenti inediti di Federica Spitzer conservati all’Archivio storico della Città di Lugano. O ancora il bel libro di Sandro Gerbi, stampato in queste settimane da Casagrande di Bellinzona, con le lettere scritte durante la guerra dal pediatra milanese Willy Schwarz (1906-89) al fratello Franco (1908-82), esule negli Stati Uniti.

La famiglia Schwarz è interessante per più ragioni: per l’origine ebraica, per la rete di contatti estesa su scala europea, per la parentela con Eugenio Colorni (cognato di Willy, che ne aveva sposato la sorella Silvia), per l’interesse coltivato da molti suoi membri per le ricerche antroposofiche di Rudolf Steiner e per la relazione dinamica, mai chiusa, con l’identità cattolica, alla quale Willy e la madre Caroline Rothschild finirono poi per aderire. Se è vero che l’identità dovrebbe essere sempre declinata al plurale, la famiglia Schwarz è l’emblematica rappresentazione di questa regola non scritta.

Entro i molti materiali conservati dagli eredi, il curatore ha operato una selezione drastica ma non per questo meno significativa: soltanto quattro lunghissime lettere di Willy a Franco, scritte in momenti cruciali della guerra (attorno all’8 settembre 1943 e al 25 aprile 1945, ad esempio), da Milano, Lugano e Ginevra, indirizzate alla volta dell’America. Le difficoltà di comunicazione dell’epoca e l’affastellarsi continuo degli eventi fanno di queste lettere – e il mittente ne era ben consapevole – un prodotto ibrido, a metà strada tra il diario e la cronaca. Sono testi scritti contemporaneamente per sé, per il destinatario e per i posteri, testi dettati soprattutto dalla volontà di fissare su carta i fatti e i pensieri di un momento eccezionale. Vi trovano spazio i grandi eventi che tutti conosciamo, ma anche i destini dei singoli membri della famiglia, dal drammatico suicidio dell’anziano padre Gustavo Schwarz (che tentò invano di varcare il confine svizzero) all’accoglienza di Willy nel seminario arcivescovile di Venegono, dove tra le altre cose poté coltivare, nella vasta biblioteca dell’istituto, un insolito interesse per la patristica e le testimonianze scritte dei primi secoli del cristianesimo.

Il fenomeno è noto, anche se non ancora raccontato forse in tutta la sua portata storica: mentre alcuni italiani, funzionari o privati cittadini, stanavano ebrei e li denunciavano alle autorità tedesche, altri li nascondevano presso di loro non senza rischi per la loro stessa incolumità. «Silvia e io» scrive Willy al fratello nell’ottobre del 1943 «abbiamo pensato a trovare un rifugio per le nostre bambine, in un istituto religioso, mentre io, per me stesso, avevo pensato subito a un altro istituto, dove mi recai […] senza nessuna raccomandazione, ma solo esponendo la situazione mia e della mia famiglia; e dopo alcuni giorni […] con grandissima mia gioia ne riportai una risposta affermativa».

Persona colta e di vaste esperienze, sia umane che professionali, Willy Schwarz affida a queste lettere-diario lucide riflessioni sull’Italia che attende disperata di conoscere il proprio destino dopo l’armistizio, al quale non aveva fatto seguito una riconquista alleata sufficientemente rapida. Sono i mesi di Salò, dell’illusione della Svizzera, dei bombardamenti di Milano: mesi convulsi che il giovane pediatra non riesce però a leggere in termini del tutto pessimistici, con il cuore sempre aperto a una speranza suggeritagli anche dalla sua personalità vivace, volonterosa eppure pacata. Meritevole delle nostre attenzioni.