«Puliscio io!», esclama il bimbo, 3 anni di esuberanza incontenibile. Di solito sono i grandi a rimproverarlo con un categorico «E adesso pulisci!». Così lui ha pensato di rendersi utile e coniugare il verbo pulire nel modo più logico possibile…
Esiste un fenomeno nell’uso delle lingue per certi versi molto affascinante. La linguistica lo definisce «ipercorrettismo», o «ipercorrezione». In sostanza si tratta di una sorta di eccesso di zelo, un tentativo azzardato di far giusto anche là dove non si dovrebbe: si presenta ogni volta in cui un parlante o uno scrivente scarta una forma che gli suona non corretta pur essendo giusta, per utilizzarne un’altra che le assomiglia ma che in realtà è sbagliata.
Per capire meglio, partiamo dall’ABC. L’ipercorrezione è piuttosto frequente nei bambini che stanno apprendendo quella che per sempre sarà la loro lingua madre. In età prescolare non è raro che un bimbo racconti come la mamma abbia «aprito la porta», oppure gli abbia «leggiato una fiaba». Certo, il piccolo sta commettendo un errore linguistico, tuttavia come biasimarlo? Nella sua testolina sta solo applicando le complesse regole della grammatica – meccanismo ancora sconosciuto e vissuto piuttosto come un gioco – in particolare la norma per cui se il participio passato di verbi già acquisiti come mangiare e dormire è mangiato e dormito, allora si fa così anche con altri verbi «nuovi», più da grandi, come aprire e leggere. Logico, no? Sono sviste candide, tipiche della fase in cui si devono imparare le regole del gioco senza sospettare l’esistenza delle eccezioni e delle forme irregolari. Beata innocenza.
L’ipercorrezione non è una prerogativa della lingua italiana: in inglese, l’esempio di erroruccio più frequente fra i parlanti in erba è indicare il passato del verbo andare come goed, per poi dover cozzare contro l’irregolare went.
Secondo linguisti e psicologi, l’ipercorrettismo nei più piccoli è la prova che l’apprendimento del linguaggio non è guidato dall’imitazione degli adulti, o almeno non solo e non principalmente; si basa invece sulla logica e sulla capacità del bambino di essere costruttivo e creativo con i pochi principi linguistici a sua disposizione fino a quel momento.
Molto meno giustificabile (meno perdonabile?) è l’ipercorrezione negli adulti. Qui la questione diventa spinosa, perché alla base vi è una carenza nel padroneggiare la lingua in cui si vuole comunicare. Spesso l’ipercorrettismo si manifesta nel tentativo maldestro di sfoggiare un registro linguistico superiore alle proprie capacità, come ad esempio scegliere parole altisonanti ma inserendole in contesti per nulla adatti. Un po’ come sfoggiare con boria un orologio che ostenta un marchio di lusso sperando che nessuno si accorga della patacca al polso comprata in spiaggia.
Capita a volte che questo genere di errori, commessi per colmare le proprie lacune linguistiche, siano guardati con indulgenza, magari anche con affetto. O diventino dei veri e propri classici. Come in quel dialogo nella nebbia entrato negli annali della cinematografia italiana… «Allora Ragioniere, che fa: batti?», «Ma? Mi dà del tu?», «No, no, dicevo: batti lei?», «Ah, congiuntivo!»… Grazie, ragionier Fantozzi Ugo: con lei abbiamo imparato a ridere anche dei nostri difetti.