La 55esima edizione delle Giornate di Soletta è stata un po’ diversa dalle altre, forse più giovane, decisamente aperta al futuro. Dopo nove edizioni alla testa della manifestazione, Seraina Rohrer ha lasciato il posto di direttrice alla carismatica Anita Hugi, una figura nota nel panorama culturale svizzero e internazionale (per molti anni direttrice della programmazione del Festival International du Film sur l’Art di Montreal). Poliglotta, determinata e senza peli sulla lingua, Anita Hugi ha affrontato con coraggio una sfida non certo facile: riprendere le redini di una manifestazione storica, considerata da molti (troppi forse) come intoccabile.
Accolte tra le stupende mura di Soletta, annidate tra le sue stradine dove il tempo sembra essersi fermato, le Giornate di Soletta si impongono da ben 55 anni come l’appuntamento immancabile per il cinema svizzero. Difficile per la nuova direttrice imporre il proprio tocco, tanto la formula della manifestazione sembra immutabile. Anita Hugi, con la grinta che la caratterizza, c’è comunque riuscita, improntando la sua prima edizione sui giovani e sulle donne, due «categorie» troppo spesso dimenticate o peggio sottovalutate. Per questa nuova edizione, entrambe sono state spronate ad alzare la testa con fierezza spiccando in un universo che tende a lasciarle nell’ombra.
La nuova direttrice ha saputo portare avanti le battaglie combattute da Seraina Rohrer, aggiungendo strada facendo, e forse involontariamente, la sua impronta personale: «non volevo cambiare tutto solo per fare in modo che tutti si rendessero conto che c’era una nuova direttrice. Per me l’importante è conoscere bene il festival per farlo poi evolvere». Anita Hugi vuole confrontarsi e abbattere gli ultimi cliché legati a una manifestazione che non ha (ancora) la fama del «cool». Austerità, intellettualismo e diciamolo pure (anche se purtroppo non è il caso solo di Soletta) dominazione maschile devono, sotto l’egida di Hugi, lasciare il posto a una brezza nuova che già si sente soffiare sull’Aar. La nuova edizione è stata quindi marcata dalla volontà di festeggiare le giovani leve, le menti creative, la differenza e l’emancipazione, alla ricerca di un «tocco svizzero» ancora difficile da definire.
La nuova direttrice vuole mostrarci che anche in Svizzera esiste una nuova generazione forte e disinibita che non ha paura di esprimere la propria unicità. Multiculturale, atipica e spesso provocante, questa muta di giovani leve ha saputo imporsi sulla scena svizzera e internazionale dimostrando che anche tra le nostre frontiere la terra trema. Klaudia Reynicke e il suo magnificamente almodovariano e gender free Love Me Tender, Basil Da Cunha con il suo thriller sociale O Fim do mundo, Karim Sayad che con Mon cousin anglais mette in scena con coraggio e eleganza le difficoltà dell’immigrazione o ancora il potente African Mirror di Mischa Hedinger, che parla dei luoghi comuni legati a una pericolosa visione colonialistica dell’Africa, l’esilarante e coraggioso manifesto queer Madame di Stéphane Reithauser, senza dimenticare il poetico L’île aux oiseaux di Maya Kosa e Sergio Da Costa sono solo alcuni esempi di questo cinema diverso, aperto al futuro e libero dalle convenzioni. Non è solo una questione di età ma anche e soprattutto di attitudine, di voglia di rimettersi in gioco per trovare quel qualcosa di indefinibile che trasforma il cinema in magia, in strumento di riflessione sul mondo.
Quest’omaggio ai «primi film» (reali prime opere o perenni rimesse in discussione) è culminato nella festa dedicata alle scuole di cinema svizzere: HEAD (Ginevra), ECAL (Losanna), ZHdK (Zurigo) e HSLU (Lucerna). Accolto nella suggestiva e molto «berlinese» zona industriale di Riedholz, alla periferia di Soletta, tra le mura dell’ex fabbrica Attisholz, l’avvenimento festivo ha permesso a realtà pedagogiche al contempo simili e distanti di incontrarsi. La serata è stata preceduta dall’attesa Upcoming Award Night, cerimonia di consegna del premio per la «relève» (assegnato a Dejan Barac per Mama Rosa) e l’annuncio ufficiale dei nominati per il «Best Swiss Video Clip».
La sezione «Upcoming», interamente dedicata alla scoperta e all’incoraggiamento di giovani talenti attraverso la proiezione di cortometraggi, video clip e l’immancabile Upcoming Lab che vuole mettere in contatto studenti alla fine dei loro studi e professionisti del settore cinematografico (produttori, distributori, critici, programmatori di festival, ecc.) sono un esempio emblematico degli sforzi fatti per incoraggiare i giovani talenti. Anita Hugi ha voluto rinvigorire le Giornate di Soletta permettendo a giovani che forse alla manifestazione non ci sono nemmeno mai stati, di scoprire una realtà diversa e stimolante, festiva e aperta agli scambi.
Altro motore di cambiamento di questa nuova edizione sono state le registe donne. Grazie alla sezione «Histoires du cinéma suisse», dedicata a Christine Pascal, Paule Muret e Patricia Moraz, alla retrospettiva in onore della grandiosa documentarista Heidi Specogna e al record storico di parità per quanto riguarda i film selezionati (fino a 59 minuti), le donne sono state finalmente messe sotto i riflettori. Un piccolo passo certo, ma decisivo che permette di sperare in un futuro più equilibrato e giusto. Anita Hugi ha voluto, soprattutto attraverso la sezione «cinéma copines» dedicata a Christine Pascal, Paule Muret e Patricia Moraz, far riscoprire al pubblico delle artiste che, malgrado siano state troppo a lungo sottovalutate, hanno avuto un impatto decisivo sul cinema svizzero.
«Sono molto felice che si parli sempre più del problema della parità nella creazione attuale. Penso che la storia del cinema, e nel caso specifico del cinema svizzero, sia stata fortemente marcata da celebri sconosciute» afferma Hugi, come a volerci ricordare che il cinema non è certo solo un mondo per uomini. L’atelier pubblico dedicato alla stesura di profili Wikipedia dedicati alle registe svizzere ha rappresentato la ciliegina sulla torta di questa necessaria rivalutazione. Una 55esima edizione audace e rinfrescante che dimostra che anche il cinema svizzero può essere «cool», indisciplinato e aperto verso il futuro.