Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque non fu solo un romanzo, ma uno sconvolgente manifesto contro la guerra, l’urlo straziante di un’intera generazione falcidiata sui campi di battaglia. Uscì dapprima a puntate tra novembre e dicembre del 1928 sul quotidiano liberale berlinese «Vossische Zeitung», poi in volume a gennaio e il successo non si fece attendere: fu un bestseller indiscusso che si lasciò dietro opere ben più significative come, ad esempio, Berlin Alexanderplatz di Alfred Döblin.
L’anno dopo il regista hollywoodiano Lewis Milestone ne trasse un film osannato ovunque tranne che nel paese dei nazisti che, più tardi, non esitarono a bruciare i libri dello scrittore e a privarlo della cittadinanza. Ma intanto il romanzo fu tradotto in 49 lingue raggiungendo nel corso dei decenni una tiratura di venti milioni di copie. In Italia lo pubblicò Mondadori già nel 1931 nella versione di Stefano Jacini ampiamente rivista ora da Wolfango della Croce per Neri Pozza che lo propone con splendide illustrazioni del torinese Marco Cazzato.
A sentire il suo autore quel libro non era stato che un semplice esercizio letterario, un’esperienza facile e spontanea risolta in poche settimane. Difficile credergli, anche perché la Prima guerra mondiale lui l’aveva vissuta sulla propria pelle. Infatti, arruolato a diciotto anni, nel 1916, finì al fronte nelle Fiandre Occidentali.
Gravemente ferito fece ritorno, dopo una lunga convalescenza, a Osnabrück, sua città natale, e fu congedato nel gennaio del 1919. Andò molto peggio ai personaggi del suo romanzo, tra cui un gruppo di studenti non ancora ventenni partiti come volontari per difendere l’onore della patria. «Gioventù di ferro» che di fronte al terrore della morte scopre il vuoto della retorica, la solitudine e l’impotenza. Sono già vecchi quei ragazzi prima di affrontare la vita, perché sui campi di battaglia non c’è futuro ma solo un gorgo che assorbe e distrugge ogni resistenza, come confessa il protagonista Paul Bäumer.
È lui che ci conduce in prima linea sotto la traiettoria del fuoco nemico o nelle trincee in compagnia di ratti affamati e di cimici petulanti, e ci fa conoscere gli amici vecchi e nuovi, i vari Kat, Kropp, Tjaden e altri ancora, soldati in giubbe logore che il destino accomuna e che talvolta, in buffe circostanze, come davanti a un’oca catturata e arrostita di nascosto, si sentono fratelli. Di fronte alla catastrofe si aprono spiragli di intensa commozione: basta un suono amico, le voci dei compagni, mentre di notte si è soli in una buca e intorno fischiano granate e l’angoscia toglie il respiro, perché un calore straordinario scorra di nuovo nelle vene.
Quelle voci – confessa Paul – sono più che la mia vita, sono la cosa più fortificante e protettrice che vi sia. E forse anche il vero, sincero richiamo contro la brutalità e la barbarie che infuriano nell’inferno quotidiano evocato da Remarque con immagini incalzanti e brutali che feriscono ancora oggi. Trema la terra fra gemiti e vapori, e intanto si scivola su brandelli di carne umana e corpi senza più consistenza, mentre i feriti urlano e le reclute saltano fuori dalle trincee in preda al panico.
Le immagini di Cazzato, che rendono particolarmente pregevole quest’edizione, ribaltano le parole in sensazioni fulminee, in un chiaroscuro lacerante, con disegni dai forti tratti espressionisti. Occhi disperati, tumuli e croci nere, paesaggi lugubri e opprimenti, case incendiate come fiaccole nella notte accompagnano la narrazione e consegnano al lettore un messaggio di terribile disfatta di fronte alla violenza del mondo. Ma quella scuola del terrore incide a fondo sull’anima di una gioventù abbandonata a sé stessa e al proprio tragico destino. Si diventa spietati, rozzi e vendicativi, ricorda Paul, che finirà per sentirsi un estraneo anche a casa propria nei pochi giorni di licenza, là dove tutto appare come un tempo, ma senza lo slancio della giovinezza confinato ormai solo in un «grumo di dolore».
Tuttavia il suo cuore non si è irrigidito di fronte alle atrocità e alla follia: prova pietà per i prigionieri russi che mendicano un po’ di cibo, e sgomento per quei profughi francesi che camminano curvi in preda all’ansia e allo scoramento. E altre terribili immagini lo attendono durante il soggiorno in ospedale con l’amico Kropp a cui verrà amputata una gamba. Ora non ha più dubbi sul destino dei giovani: «Il nostro sapere della vita – confessa Paul – si limita alla morte». La guerra ha livellato ogni cosa: non ci sono più differenze di cultura e di educazione, quasi – sottolinea – «fossimo monete di vari paesi, fuse poi nel medesimo crogiolo». Tutte con la stessa impronta e presto con lo stesso destino. Uno dopo l’altro gli amici scompaiono: Berger cade fulminato in una cortina di fuoco nel tentativo di salvare un cane, Müller è colpito al ventre da un razzo e così pure gli altri, compreso il suo grande amico Kat che muore mentre lui cerca di portarlo in salvo.
È l’estate del 1918, la più sanguinosa, quando la natura sembra richiamare inutilmente alla vita fra mille suoni e colori. Pochi mesi dopo fu colpito anche Paul in una giornata calma e silenziosa in cui il bollettino del Comando Supremo annunciava «niente di nuovo sul fronte occidentale». Chi vide il giovane soldato riverso a terra disse che aveva un’espressione serena «quasi fosse contento di finire così».
Al suo autore nel dopoguerra andò molto meglio: si trasferì in Svizzera nel 1931, poi negli Stati Uniti, dove ebbe una burrascosa relazione sentimentale con Marlene Dietrich. Più tardi, verso la fine degli anni Cinquanta sposò l’attrice hollywoodiana Paulette Goddard che gli fu accanto fino alla morte a Locarno nel 1970. La fama del suo primo romanzo lo seguì ovunque. Aveva saputo arrivare al cuore dei lettori trasformando la propria terribile esperienza in una narrazione di forte impatto emotivo che riassume l’atmosfera di un’intera epoca.