Chi è Eddy de Pretto, il giovane musicista francese che ha fatto del «no gender» il suo cavallo di battaglia? Inclassificabile, de Pretto adora confondere le piste rifiutando di definirsi e di definire la sua musica in base a uno schema binario di genere (donna/uomo). Scoperto ai Printemps de Bourges, la sua personalità atipica e misteriosa e le sue esibizioni sceniche di una potenza minimale destabilizzante (un batterista e il suo iPhone come soli compagni) lo stanno portando lontano, molto lontano. De Pretto fa parte di una nuova generazione di musicisti francesi che ha deciso di rompere con la tradizione. Juliette Armanet, Lescop, La femme, Flavien Berger o ancora Agar Agar, Camp Claude, Rover e Bagarre, ecco alcuni nomi di quella che potremmo definire come la «nouvelle vague» della musica francese. Poco importa la nazionalità e poco importa pure la lingua (francese, inglese, spagnolo o ancora turco), quello che conta è l’immediatezza della musica, la ruvida melodia delle strofe, gridate, sussurrate o letteralmente stravolte.
Malgrado i suoi testi siano rigorosamente in francese (lingua che de Pretto ha scelto sicuramente più per la sua musicalità che per sciovinismo), la musica del nostro poeta urbano ha una portata universale che si traduce in ritmi ipnotici e ripetitivi, avvinghiati ad una voce tagliente dall’inconfondibile accento parigino. Nel suo EP Kid, uscito ad ottobre del 2017, de Pretto si confronta con onestà a problematiche che lo toccano da vicino: la dissolutezza della gioventù, la sessualità, la virilità (legata ai cliché machisti) e la difficile ricerca di un’identità propria al di fuori degli schemi socialmente imposti. Come ha confidato all’HuffPost «spesso sono stato zitto, soprattutto a scuola per nascondermi e non assumere quello che ero, per cercare in un certo modo di conformarmi. A casa potevo giocare con le macchine e Action-Man ma anche con le bambole e cantare le canzoni delle Spice Girls. Quando esci per strada non sono però delle cose che metti in avanti».
De Pretto nelle sue canzoni non descrive di certo la Francia idealizzata tanto cara al Front National, quello che cerca è piuttosto il contatto diretto con la realtà, una realtà al contempo estremamente personale e decisamente universale. Cresciuto alla periferia di Parigi nel quartiere popolare di Créteil e dichiaratamente omosessuale, de Pretto non fa certo parte di quella gioventù dorata a cui il futuro non può che sorridere. I suoi testi stravolgono la Parigi da cartolina rimpiazzando la Tour Eiffel con i palazzoni delle banlieues. La società nella quale è cresciuto valorizza «l’uomo vero», quello che sa imporsi con la forza, quello che non cede ai sentimentalismi. Cosa fare quando non si è conformi alla «norma»? Questa pressione sociale, l’impossibilità di mostrare la propria vera identità è descritta con coraggio nel suo cavallo di battaglia Kid e più in generale nel suo primo album Cure (uscito in marzo di quest’anno). In linea con la sua personalità fuori dagli schemi, le influenze di de Pretto sono molteplici e sorprendenti. Se da un lato la sua vena hip hop è riconducibile ad artisti ascoltati da teenager quali Booba, Diam’s, e più recentemente Frank Ocean, XXXTentation o Damso, le melodie che accompagnano i suoi testi sono influenzate da personalità quali Jacques Brel, Claude Nougaro o ancora Edith Piaf (che sua madre ascoltava continuamente). Insomma, il nostro musicista di Créteil non si pone alcun limite per quanto riguarda i gusti musicali.
Grazie alla sua attitudine da voyou moderno e alla sua gueule decisamente atipica, de Pretto è il degno erede di musicisti emblematici della controcultura francese quali Daniel Darc (Taxi Girl) o Philippe Pascal (Marquis de Sade). Come i suoi predecessori, quello che cerca non è certo il consenso ma piuttosto una comunicazione diretta e sincera con una gioventù della quale fa parte, nel bene e nel male. I clip che accompagnano i suoi brani sono in sintonia perfetta con il suo look, miscela tanto improbabile quanto seducente di dolcevita preppy e tute da ginnastica Lacoste e con la «multidisciplinarietà» propria della sua generazione. In Kid il nostro interprete di Créteil è filmato in penombra, in quella che sembra essere una palestra. Il sudore cola dal suo torso nudo e depilato in una scena che assomiglia a una parodia di James Bond versione homoerotic. La posa da macho che assume, associata alla sua pelle diafana e lentigginosa, mette in evidenza il ridicolo della situazione, amplifica l’assurdità dei cliché di genere. De Pretto gioca con le stesse armi che l’hanno ferito e lo fa con grande godimento (suo ma anche nostro). Gli stereotipi legati a quella che comunemente chiamiamo «mascolinità» sono mostrati in tutto il loro grottesco splendore.
E il risultato è decisamente all’altezza delle aspettative: De Pretto, come molti altri suoi colleghi (Robbing Millions, Le Colisée o Salut c’est cool) controlla il suo «personaggio» fino alla punta dei capelli (rigorosamente pettinati con un sublime bowl cut). Niente è lasciato al caso, in una ricerca costante di autenticità e sovversione. La musica diventa per il nostro kid parigino lo strumento ideale per mostrare al mondo quello che è veramente e poco importa se non piace a tutti. La musica è anche e soprattutto questo, uno schiaffo in pieno viso, un «douleur exquise» che vorremmo non finisse mai.