«È un’illusione pensare che la cultura non sia politica» afferma Darya Bassel senza tanti giri di parole. Produttrice e curatrice del Docudays UA International Human Rights Documentary Film Festival di Kiev, ho avuto la fortuna di conoscerla durante una mia partecipazione al Festival nel 2019. Un festival importante per la documentaristica e più in particolare per l’industria cinematografica ucraina sostenuta e promossa dal festival che ne rivendica un’unicità non sempre riconosciuta a livello internazionale.
Come ci racconta Darya, i film ucraini sono spesso, a torto, uniti a quelli russi o comunque marginalizzati insieme alle altre cinematografie «di nicchia». Il suo statement sulla funzione dell’arte che va ben oltre la sfera estetica acquisisce oggi, alla luce dei vari boicottaggi della cultura russa a livello internazionale, tutto il suo significato. Emblematica è la recente decisione presa dal curatore e dagli artisti russi selezionati per rappresentare il loro paese alla 59esima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia di annullare la loro partecipazione a causa dell’invasione dell’Ucraina. Fra sostenitori e oppositori di un tale veto la questione non solo solleva polemiche ma fa riflettere quanti preferirebbero continuare a mantenere distinte l’arte e la politica.
Cosa significa vivere a Kiev in questo momento?
«Sono partita da Kiev la sera del 24 febbraio, il primo giorno dell’attacco russo. La sera precedente stavo ancora lavorando con i miei amici e colleghi di Tabor Production al nostro pitch. Dovevamo presentare il nuovo film Butterfly Vision (conosciuto con il titolo Spas) di Maksym Nakonechnyi all’Ukrainian cinema market. Abbiamo parlato molto della possibilità di un attacco russo, ma nessuno voleva davvero crederci.Molti dei miei colleghi registi e giornalisti, sono rimasti a Kiev, fra questi Maksym Nakonechnyi e Olha Zhurba, regista con cui abbiamo collaborato alla realizzazione del suo primo lungometraggio Outside (che sarà presentato in prima mondiale questo mese al CPH:DOX di Copenaghen). Olha è rimasto a Kiev per filmare la quotidianità di una città in guerra insieme ad altri registi coraggiosi che vogliono raccontare quanto sta accadendo, vogliono raccogliere le prove dell’aggressione russa affinché nessuno possa mai rimetterla in dubbio. I miei colleghi di Docudays UA stanno cercando di organizzare degli eventi o dei programmi speciali in altri festival o su piattaforme di VOD. Il sostegno della comunità internazionale legata al mondo dei film documentari è incredibile! Ma è complicato, le persone devono nascondersi nei seminterrati per ripararsi dai bombardamenti. Non riusciamo a dormire, mangiare, a pensare in modo lucido».
Anche prima dell’invasione russa, quali erano i rischi ai quali vi esponevate per organizzare il vostro festival sui diritti umani?
«L’Ucraina non è la Russia, è un paese indipendente con la sua specifica e ricchissima storia culturale. Il clima politico, i problemi sociali dell’Ucraina e della Russia sono diversi. La politica del governo russo in materia culturale non ha quindi mai influenzato il nostro festival. Prima della rivoluzione ucraina del 2014 proiettavamo molti film russi durante il nostro festival, invitavamo registi russi a far parte della nostra giuria, li sostenevamo, nel limite delle nostre capacità, nella lotta contro il regime oppressivo del loro paese. La rivoluzione ucraina del 2014 ci ha aperto gli occhi sulla dinamicità, la ricchezza e l’importanza del nostro paese. Personalmente, ho capito che dovevamo focalizzarci maggiormente sulla nostra cultura sostenendone lo sviluppo. Abbiamo quindi dedicato molto tempo e molti sforzi per spiegare alla comunità culturale internazionale che l’Ucraina e la Russia non sono lo stesso paese. Ci siamo poi occupati della promozione dei film documentari ucraini affinché i nostri colleghi potessero rendersi conto del numero incredibile di registi e del loro talento, dell’unicità del loro linguaggio cinematografico. Erano i tempi in cui le forze russe occupavano Donetsk e Luhansk e la macchina propagandistica mentiva per persuadere il mondo che si trattava solo di un conflitto locale, di una guerra civile. Ora il mondo si è reso conto della realtà. È arrivato il momento di nutrire la cultura, la lingua e la cinematografia ucraina, di ascoltare le sue voci. Putin non prenderà mai il potere, continueremo sempre a fare i nostri film e la nostra arte in un paese libero e indipendente».
Cosa ne pensi del boicottaggio dei film russi?
«Sostengo completamente il boicottaggio dei film russi da tutti i festival e dagli eventi culturali finché la guerra non cesserà. È un’illusione pensare che la cultura non sia politica. Tutto è politico in questo momento. Le strategie messe in atto per lottare contro la crudeltà di Putin devono essere impiegate anche in ambito culturale e artistico».
*Classe 1985, studi in lingua e letteratura tedesca a Odessa, Darya Bassel dal 2011 è programmatrice e coordinatrice del Docudays UA International Human Rights Documentary Film Festival di Kiev.