Capita, scegliendo un nuovo libro da leggere, che a frenarci sia la drammaticità della trama. Può succedere che si tratti di una autrice o di uno scrittore che apprezziamo, di una casa editrice di cui tendenzialmente ci fidiamo, solo che abbiamo paura della storia tratteggiata nelle poche righe della quarta di copertina. Temiamo che quel racconto ci farà soffrire, che ci toccherà, tanto che evitiamo quel romanzo, anche se potrebbe essere un buon testo. Il grande me (Fazi Editore) racconta della morte di un padre molto amato, a partire dalla diagnosi di incurabilità di un cancro al pancreas, è il secondo romanzo di Anna Giurickovic Dato, che dopo l’esordio con La figlia femmina, riafferma in questa seconda prova il suo spessore.
Carla, la narratrice, Laura e Mario sono i tre figli di Simone. Lui è il loro padre cantante, senatore, archeologo, musicista: un eroe dolcissimo che vive a Milano da quando si è separato dalla sua famiglia rimasta a Roma. Loro lo raggiungono e si trasferiscono a casa sua quando capiscono che Simone non ha più molto tempo: la diagnosi non lascia nessuno scampo e di fronte a lui ci sono i mesi di tentativi falliti con la chemioterapia e le settimane di agonia sotto morfina.
Nel racconto di questa procedura medica generalmente condivisa è interessante come Giurickovic Dato sia riuscita a mostrarne la fragilità senza che nessuno dei personaggi la nomini mai. Simone, finché è in grado di farlo, sceglie di sottoporsi a ogni possibile sperimentazione esistente e i suoi figli lo seguono e lo accompagnano: nessuno di loro si sofferma mai sul fatto che sia impossibile con le settimane che passano comprendere che cosa lo stia ammalando di più, tra la cura e il cancro. Eppure, questa combinazione, il fatto che la morte si combatta con la morte, affiora pagina dopo pagina, nel racconto delicato ma feroce del deperimento del corpo di Simone: la perdita dei capelli e poi la nausea, fino all’incapacità di parlare. L’autrice è estremamente attenta a rispettare la massima che ogni aspirante narratore dovrebbe conoscere e che infatti viene recitata come un mantra nelle scuole di scrittura creativa: «show, don’t tell», mostra senza dirlo.
Non a caso, poi, Giurickovic Dato è anche una sceneggiatrice: fin dalle prime pagine la sensazione durante la lettura è prima di tutto fisica, spaziale. Il testo conduce immediatamente nella casa di Simone, nella cucina dove Laura cerca di preparare il pranzo, ma il padre non desidera mangiare, non è già più molto lucido e continua a contraddirsi su quello che vorrebbe, rifiutando ogni proposta della figlia minore. Siamo spesso sul divano con loro mentre guardano dei film se lui ne ha voglia, o nel corridoio, quando Carla guarda dal buco della serratura della porta del bagno per capire se il padre ce la fa da solo e lo vede a terra.
La vita è il tempo, o quanto meno si compone anche dei secondi e dei minuti che trascorrono. Ed è forse questa la materia del romanzo: nel giro di un libro, di qualche pagina, Simone, che Carla adora, scompare. Si trasforma e se ne va: non c’è niente di davvero accettabile in questo e soprattutto i conti non tornano. Nonostante la scelta meravigliosa e fortunata anche, perché possibile, dei tre fratelli di lasciare Roma e andare a trascorrere tutto il tempo rimasto col padre, quando sarà finito non solo non sarà stato abbastanza, non era neanche l’inizio. Tutto poteva ricominciare fra di loro: un’altra vita in cui Carla, Laura e Mario avrebbero inaugurato un nuovo rapporto con il loro padre.
Il grande me è proprio uno di quei romanzi che si vorrebbe lasciare da parte, consapevoli che non si resterà indenni dopo averlo letto. Quello che non si può immaginare prima di finirlo è quanto forti e ben strutturati siano il testo e la voce della sua autrice, nonché la personalità della narratrice. Ogni tanto Carla si astrae dalla quotidianità in casa col padre, esce: una volta va a una festa, un’altra volta si mette una minigonna e va alla ricerca di un incontro sessuale. Alla fine, negli ultimi giorni, decide di prendere una stanza in albergo: di fronte al fatto che ancora le piace il caffellatte, non si stupisce come ci si potrebbe aspettare. In questo romanzo sulla morte Giurickovic Dato sa dire che il piacere non finisce. Nel dolore incontenibile che Carla prova per la fine di suo padre, sussistono, senza che lei ne possa nulla, la sua capacità e la sua spinta al godimento. Non si tratta di una perversione della ragazza, di una reazione, neanche dell’istinto di sopravvivenza: si tratta del corpo. Quello di suo padre perde le funzioni fondamentali una dopo l’altra, con una rapidità impensabile. Quello di Carla è un corpo sano, che non conta i minuti, ma vive.
Con il corpo
Gli struggenti ultimi mesi del padre malato raccontati da Anna Giurickovic Dato
/ 22.02.2021
di Laura Marzi
di Laura Marzi