Con gli AC/DC il rock è qui per salvarci

Il nuovo album Power Up è una luce in questi tempi bui
/ 21.12.2020
di Fabrizio Coli

In un anno maledetto come questo, Power Up degli AC/DC è un raggio di sole, una manna dal cielo, una ventata di ottimismo e di speranza. È cambiata la nostra vita, sono cambiate le nostre abitudini, i nostri contatti con gli altri: in questo terribile 2020 pandemico che ha inferto così tante ferite, qualcosa che non cambia ha un sapore speciale. E loro non cambiano, oh no che non cambiano.

Con gli AC/DC non puoi confonderti e su di loro puoi contare. Ogni cosa che li riguarda è un marchio di fabbrica. Il logo con quel fulmine lì nel mezzo, stavolta tinto di un rosso al neon: un segnale riconoscibile a chilometri. Angus Young, ormai l’unico membro della prima ora, con la sua Gibson Sg a tracolla e la sua uniforme da – 65enne – scolaretto rimane un punto fermo, così come la voce di Brian Johnson, che è ancora quella di «qualcuno a cui è passato un camion su un piede» (definizione di Angus). Il sound: così immediato, diretto, viscerale è inconfondibile, quei quattro quarti elettrificati che ogni volta riescono a farci stare bene. Sono sempre uguali a se stessi gli AC/DC e questo ci tranquillizza.

Power Up o PWR/Up come spesso lo scrivono loro: accensione. Si attacca la spina, si spinge l’interruttore e l’energia circola. Di nuovo. È il manifesto degli AC/DC proprio così come devono essere. Solidi come rocce in un mare burrascoso. Non c’è nulla di inaspettato o di diverso in questo album ed è tutto bellissimo, energetico e rinfrancante. No, non c’è nulla di inaspettato o di diverso in questo album. Tranne il fatto che questo album rischiava di non esserci.

Erano sei anni che Angus e compagni non producevano nulla di nuovo, da Rock or Bust del 2014. Da allora a oggi, gli AC/DC hanno passato brutti momenti. La lista è lunga. I serissimi problemi di udito di Brian Johnson che nel 2016 hanno portato a un allontanamento dalla band che si temeva definitivo (con nientemeno che Axl Rose a prenderne il posto per finire il tour); i guai con la legge del batterista Phil Rudd, fra accuse di minacce di morte (poi ritirate) e una condanna per possesso di stupefacenti (scontata agli arresti domiciliari); il bassista Cliff Williams che sembrava serio quando dichiarava di volersene andare in pensione... Ma soprattutto, c’è stata la scomparsa di Malcolm Young nel 2017, a poca distanza da quella del fratello maggiore George, che della band fu produttore. Fondatore, anima e motore del gruppo insieme ad Angus, Mal era malato da tempo. Non aveva partecipato alle registrazioni di Rock or Bust, sostituito dal nipote Stevie Young.

«Questo disco è per Mal». Suo fratello Angus è chiaro quando parla di Power Up. Così come lo spirito dello scomparso primo cantante Bon Scott pervadeva il capolavoro Back in Black nel 1980, quello di Malcolm Young vive in Power Up. Tutti i brani sono frutto di idee su cui lui e Angus stavano lavorando quando Malcolm era ancora in grado di farlo. Già il primo singolo, Shot in The Dark, uscito a ottobre anticipando di un mese l’arrivo dell’attesissimo nuovo lavoro, aveva fatto gridare «Urrà!», con quel riff in perfetto stile AC/DC, un po’ alla Stiff Upper Lip, quell’inimitabile heavy rock dall’anima blues e boogie ad alto voltaggio che rende impossibile non battere il tempo con il piede e quelle parti vocali pronte per essere cantate a pieni polmoni negli stadi pieni di tutto il mondo, che la band australiana riempie in un nanosecondo ogni volta che i biglietti dei suoi concerti vengono messi in vendita.

È così anche tutto il resto del disco, uscito per Columbia / Sony Music e subito balzato ai primi posti delle classifiche planetarie, Svizzera compresa: splendente compendio di quella che è un’autentica istituzione del rock che in 47 anni di carriera ha venduto qualcosa come 200 milioni di dischi.

I coretti alla Thunderstruck che aprono l’album con Realize non lasciano scampo e da lì si è trascinati in una cavalcata in mezzo a tutto quello fa grande questo gruppo. Il suono brillante e nitido enfatizza ogni brano, dalla potenza controllata di Rejection, alla solidità di Witch’s Spell; dalla riflessiva Through the Mists of Time fino all’epicità di Money Shot o delle ombrose No Man’s Land e Systems Down dove si respira l’aria di For Those About to Rock. Tutte intrise di quella semplicità primordiale che le rende irresistibili. Johnson sembra rinato, Angus è l’inimitabile Angus. Si sente che questo disco era giusto, che andava fatto.

Mal ne sarebbe fiero. Power Up è per lui. Ma è anche per tutti noi che ne abbiamo un disperato bisogno. È l’agognata, splendida normalità delle cose che conosciamo così come le conosciamo, un balsamo in questo mondo sottosopra: il rock’n’roll ancora una volta è qui per salvarci.