Valter Malosti (Wikipedia)

«Come un’unica grande canzone di David Bowie»

Dal 18 al 20 maggio l’opera rock Lazarus è in scena al LAC. Ne parliamo con il regista Valter Malosti
/ 15.05.2023
di Fabrizio Coli

Newton, migrante interstellare, non riesce a morire. Chiuso in una stanza popolata da personaggi che forse sono reali o forse no, la sua mente esplode in una riflessione sulla propria vita. Al LAC dal 18 al 20 maggio va in scena Lazarus, l’opera rock che con l’album Blackstar costituisce l’ultimo capitolo creativo di David Bowie (prevendite: www.luganolac.ch). Rappresentata la prima volta a New York poche settimane prima della scomparsa dell’artista avvenuta il 10 gennaio 2016, scritta insieme al drammaturgo Enda Walsh, è una sorta di continuazione di L’uomo che cadde sulla terra, romanzo di Walter Tevis diventato nel 1976 un film interpretato dallo stesso Bowie. A Lugano arriva nella versione italiana, una produzione ERT in coproduzione con il LAC, che vede il frontman degli Afterhours Manuel Agnelli nel ruolo di protagonista e nel cast anche la giovane cantautrice Casadilego, vincitrice di X-Factor nel 2020. Un’opera complessa e affascinante, dove teatro, danza, suggestioni visive e sonore si fondono con le canzoni di Bowie. Insieme al regista Valter Malosti, Premio UBU 2009 per Quattro atti profani, ci tuffiamo in questo lavoro che offre lo spunto per una riflessione sulle maschere che l’eclettico artista britannico ha indossato nel corso del tempo.

Lazarus è considerato, insieme all’album Blackstar, una sorta di testamento di Bowie. È davvero così o è solo l’ultima delle sue trasformazioni?
In Lazarus vengono fuori i temi della parabola artistica di Bowie ed è anche una riflessione sulla soglia, sulla morte. È un’opera che lascia molto la palla a chi guarda e ascolta. Al centro c’è una mente tra la vita e la morte, che riflette profondamente su quello che è stata la sua vita. Sicuramente è testamentale, ma è un testamento pieno di passione, pieno di vita. Anche se si parla di soglie, di confini, Bowie dà una chiave artistica di grande energia, forza e coraggio. È un’opera luminosa e scura, con un’energia visibile e udibile. Ovviamente è anche una metafora. È sì, come dicevo, anche una riflessione sulla morte ma secondo me è un’opera sulla vita. È come un’unica grande canzone di Bowie in cui c’è l’emozione.

Da dove viene l’amore di Bowie per il personaggio di Newton? Newton è Bowie?
Bowie fu scelto dal regista Nicolas Roeg per interpretare questo personaggio nel film L’uomo che cadde sulla Terra. Doveva comporre anche le musiche che però furono rifiutate. C’è quindi qualcosa di non finito nel rapporto col personaggio. In Lazarus Newton è la voce della musica di Bowie, in qualche modo è Bowie e non è Bowie. I suoi personaggi sono maschere che indossa di volta in volta, compagni di viaggio che ha avuto accanto tutta la vita ma che rimangono sempre trasparenti, ci consegnano cioè sempre qualcosa di interiore, di molto forte. Bowie però è contraddittorio: Lou Reed in un’intervista raccontava che quando era molto ubriaco pensava di essere Ziggy Stardust! Il confine tra verità e finzione è molto labile.

Qual è il suo rapporto con Bowie?
Bowie, Demetrio Stratos e Carmelo Bene sono stati una triade nella mia adolescenza, tre maestri della voce. Bowie in qualche modo ti permetteva di pensare che potevi essere libero. Ha fatto sostanzialmente da apripista alla liberazione non soltanto sessuale ma proprio del gusto: “fai quello che vuoi” diceva spesso. Dopo la morte, ci accorgiamo man mano di quanto elevata sia dal punto di vista qualitativo la sua produzione compositiva. Considero Lazarus un’opera lirica contemporanea. Non la apparenterei alla categoria musical. È un’opera rock, ha un formato molto rilevante anche dal punto di vista testuale. È stata scritta a quattro mani da Bowie con Enda Walsh, grandissimo e visionario drammaturgo irlandese del quale avevo già messo in scena alcuni testi – tra cui Disco Pigs – e che conosco anche di persona. Una delle fortune nel destino che mi ha fatto incontrare Lazarus è che ho potuto seguirne passo passo la costruzione e avere poi una mano decisiva nel tradurlo in italiano.

Quanto è rimasto fedele all’allestimento originale? Che libertà ha potuto prendersi?
Molte libertà ma appunto è come interpretare la Tosca o la Bohème: basta rispettare la musica, la partitura, il libretto. Interpreto, come può fare un pianista. Non siamo stati obbligati a rispettare pedissequamente l’opera andata in scena a New York e poi a Londra, abbiamo fatto completamente tutto da zero. Fino adesso però da parte dei fan abbiamo un 99% di consenso!

Bowie ha composto una manciata di brani appositamente per lo spettacolo, che contiene anche molti suoi pezzi storici. Non è riuscito a scrivere di più o è che la scelta delle canzoni più note è totalmente funzionale?
Vere entrambe le cose. Le canzoni le hanno scelte insieme Bowie e Walsh, quindi hanno una funzione drammaturgica che non è sempre soltanto legata al testo. Bowie insisteva molto sull’aspetto emotivo, che era quello che gli interessava prima di tutto. Certi brani quindi sono emotivamente giusti. Poi è vera anche la prima cosa. Secondo Walsh, Bowie avrebbe voluto scrivere anche altre canzoni, ma con la fase acuta della malattia è riuscito a farne solo quattro. Tutte dei capolavori: in particolare il brano Lazarus che è poi stato inserito anche in Blackstar.

Manuel Agnelli, Casadilego: come è stato lavorare con loro?
Meraviglioso. Manuel ha una tessitura vocale molto simile a quella di Bowie. È una rockstar, ma allo stesso tempo è trasparente, riesce a farsi medium della musica e della storia. Mostra anche le sue ferite, che in un personaggio di questo tipo sono fondamentali. Poi Elisa Coclite, ovvero Casadilego: quando canta il pubblico sospende il respiro, accade qualcosa di straordinario. È la coprotagonista, interpreta questa ragazza che non si sa se sia viva o sia morta, un personaggio che sta in un mondo sospeso. Ma ci sono anche altri artisti protagonisti come l’attore Dario Battaglia e Chiara Lucenti, coreografa che dà a Lazarus una chiave importante dal punto di vista del movimento. Poi abbiamo una band di musicisti davvero straordinaria oltre a tutte le altre linee drammaturgiche percepibili nello spettacolo: quelle del suono, della videoarte, delle luci e della scena. Abbiamo quindi artisti di diverse discipline che si uniscono per dar vita a un’opera nuova. Per me è molto importante questa trasversalità delle arti. Lazarus è una sintesi di tante arti messe in scena a teatro e mi fa davvero piacere presentarlo a Lugano.