Come Matrioske

Nel suo ultimo libro Silvia Vegetti Finzi riflette sull’importanza dell’attesa: la gravidanza, che lega nonna, madre e figlia
/ 06.06.2017
di Sara Rossi Guidicelli

Era il 1968 e Natalia Ginzburg diceva che i bambini nati quell’anno erano stati messi al mondo per allegria. Lena avrebbe dovuto finire gli studi, perfezionare l’inglese, prendere la patente, ma voleva un figlio. Il mondo attorno a lei si batteva per creare una società migliore, buttare via la vecchia e ricostruire con più amore. E il modo migliore per fare la rivoluzione, può proprio essere fare un bambino.

Non è un romanzo quello di Silvia Vegetti Finzi, una delle psicologhe più conosciute d’Italia, che «Azione» ospita nelle sue pagine con la rubrica «La stanza del dialogo». È un libro che parla, in pratica e in teoria, del tempo della gestazione, quei nove mesi che servono a un embrione per uscire nel mondo e iniziare la sua vita, staccato dalla mamma. Lena è il filo rosso che accompagna il lettore nel racconto e nelle riflessioni su questo periodo delicato, fondamentale, e in un certo senso sacro. Chi lo ha vissuto lo sa: la gente ti guarda e ti dà un rispetto nuovo, un’attenzione speciale e sorride di fronte al miracolo che avviene con più frequenza sulla Terra.

Secondo Silvia Vegetti Finzi, tuttavia, sta venendo a mancare la considerazione per questo primo momento della maternità: dagli anni Settanta le donne lavorano, studiano e sono autonome, ma sanno poco e hanno poche testimonianze della maternità e di come conciliare lavoro e figli. Le generazioni non convivono più: si perde il filo del racconto, che tramanda e insegna, rende le donne incinte meno sole, più attente e consapevoli. Da qui la necessità di questa scrittura, sfociata in un testo intenso di un centinaio di pagine, intitolato L’ospite più atteso, perché «vivere l’attesa in modo partecipe, trascriverla nella memoria, evocarla, e condividerla» è importante, non solo per la singola persona, ma per la specie intera. E la psicanalista, che in questo libro cita Shakespeare, la mitologia greca, scrittori e studiosi di psicologia del Novecento, Platone, la sua esperienza personale, e molto altro, prende in prestito le bellissime parole di José Saramago per dirlo in modo chiaro e netto: «...è la lunga interminabile conversazione delle donne... sembra una cosa da niente, questo pensano gli uomini: neanche loro immaginano che è questa conversazione che trattiene il mondo nella sua orbita. Se non ci fossero le donne che parlano tra loro gli uomini avrebbero già perso il senso della casa e del pianeta». (Da Memoriale del convento).

«Fino a qualche decennio fa – racconta Vegetti Finzi – le persone più prossime si accorgevano che una donna era in stato interessante perché a loro dire aveva gli occhi scintillanti e un’espressione trasognata che l’estraniava dalla realtà circostante. Ma ora non c’è né spazio né tempo per cogliere un’esperienza così intima e segreta». Cosa ci è successo? Sono successe così tante cose dai tempi di Maria, duemila anni fa, così ben rappresentati nei ritratti dell’Annunciazione. La giovane donna, di solito al centro di una stanza piccola e appartata, sta in solitaria preghiera o lettura quando riceve una visita. Sullo sfondo si vede quasi sempre un giardino, a indicare l’atmosfera sospesa tra l’imprevisto e l’attesa. «È la primavera della vita», commenta l’autrice con uno dei voli poetici che ci regala in questo libro, che tanto ha dentro se stessa: Lena è infatti una voce di Silvia, e dalla sua testimonianza personale scaturiscono i pensieri elaborati negli anni di studi e di vissuto. Contrariamente a Maria, Lena è immersa nel traffico milanese quando sente per la prima volta un frullio nella pancia: suo figlio, tanto desiderato ma così nuovo e sconosciuto.

Non è subito tutto facile: mente e corpo devono abituarsi a una convivenza più che ravvicinata. Le nausee mattutine indicano quanto sia difficile all’inizio riconoscere l’individuo che si porta in grembo, ma non è solo fisicamente che si cambia. La donna deve rivedere tutti i suoi progetti, deve «sospendere la continuità della propria storia, interrompere la narrazione che collega il passato al futuro, per far posto a un progetto radicalmente nuovo e in gran parte ignoto». La donna si figura una vita da neomamma in cui la protagonista continuerà a essere lei stessa: lei con il bambino da accudire, mostrare, coccolare... si accorgerà più tardi che il protagonista della sua vita per qualche tempo diventerà il suo bambino e ci vorrà un altro periodo di assestamento. I medici spiegano a Lena cosa le succede, le dicono come dovrà partorire: non la aiutano ad ascoltare dentro di sé, ma le danno informazioni e raccomandazioni tecniche, scientifiche, razionali, esterne. Per fortuna la creaturina nel suo ventre, ignara di tutti gli studi di psicologia e dei progressi della medicina, bussa alla mamma e dà inizio al loro rapporto privilegiato.

E poi via via tutte le fasi, le domande, i dubbi, la paura di essere inadeguata, il senso di minaccia alla propria integrità, le differenze con il vissuto del consorte, la scelta del nome, la ricerca di un appoggio materno, per richiamare quel filo, quell’essere matrioske, una dentro l’altra in momenti diversi, ma per un attimo sempre...

La nostra società sente un bisogno di tornare a sentire di più e fare di meno. Cerca anche i modi per supplire a quella mancanza di grande famiglia in cui prima di diventare madre tua nonna, tua mamma, le tue sorelle o cugine maggiori ti hanno già parlato di cosa significa e hai visto e toccato con mano. Prova ne sono le nuove figure come quelle della doula, sostegno emotivo e pratico dall’inizio della gravidanza fin dopo il parto, che incarna tutte le figure femminili di cui la neomamma ha bisogno; e prova ne è questo libro, scritto con speranza, dedicato alle nipoti e a tutti gli ospiti più attesi, a cui Silvia Vegetti Finzi vuol far sapere che «la maternità nasce da un sogno» e che la gravidanza è la semina di un’alleanza che dura per tutta la vita.