La vostra quotidianità vi annoia? I vostri amici sono poco propositivi? Desiderate un momento di evasione, qualcosa di stimolante, ma perdete tempo su internet senza sapere cosa cercate? Forse è il momento di concedervi un’escursione nel paese dei robot. Al Gewerbemuseum di Winterthur è infatti in corso un’intrigante esposizione dal titolo Hello, Robot, che ha il pregio di ricordarci e di ripercorrere le tappe importanti lungo le quali i robot si sono progressivamente infiltrati nella mentalità, nella società, e nella cultura dei tempi moderni, tanto da diventarne un’icona.
Il termine robot fu introdotto all’inizio del XX secolo e deriva dal termine ceco «robota», che significa lavoro pesante o forzato. Coerentemente con la sua etimologia, fino a qualche decennio fa il termine evocava soprattutto lavori in fabbrica o, eventualmente, immagini di assemblaggi metallici dall’aspetto sgraziatamente umanoide, perlopiù ingombranti, lenti, e goffi. Oggi, invece, i robot sono diventati molto più mimetici, parlano ormai correntemente la nostra lingua, conoscono le nostre abitudini, i nostri gusti, e forse anche i nostri vizi. Molti hanno mantenuto un aspetto o caratteristiche umanoidi (come la voce), altri hanno assunto forme e dimensioni in funzione del loro contesto d’uso.
Queste sono alcune delle coordinate che potrete ritrovare nell’esposizione di Winterthur, ma c’è dell’altro. Nel dare forma e corpo alle generazioni di robot che si sono susseguite nel corso degli anni, il design – inteso come disciplina che dà forma alla relazione fra l’essere umano, lo spazio, e gli oggetti– ha sempre giocato un ruolo fondamentale. Non a caso, infatti, Hello, Robot dimostra come proprio il design abbia sempre cercato di valorizzare al meglio il potenziale interattivo, funzionale ed estetico insito nella tecnologia robotica. Dopotutto, come si suole dire, anche l’occhio vuole la sua parte: a maggior ragione quando il futuro, lo sappiamo, promette un mondo dove i robot saranno onnipresenti: tanto nelle nostre case (l’internet delle cose), quanto sulle nostre strade (le vetture autoguidate), nelle nostre città tecnologiche, e nelle nostre comunità (i robot dotati di intelligenza artificiale). Perciò il design lavora sodo affinché questa presenza sia percepita come piacevole, istruttiva, ludica: insomma, tutto fuorché invasiva.
Per aiutare i molti visitatori curiosi, l’esposizione di Winterthur è strutturata in quattro sezioni: «Scienza e finzione», «Programmato per lavorare», «Amico e aiuto» e «Due in uno». Grazie all’organizzazione intelligente dello spazio attorno ai quattro assi tematici, il visitatore può trarre il massimo giovamento senza il rischio di perdersi o di rimanere confuso dalla varietà del materiale esposto. La mostra propone infatti un itinerario fatto di tante immagini, installazioni e oggetti che raccontano tanto il fascino e i timori che i robot hanno sempre esercitato su di noi, quanto le molte forme attraverso cui queste macchine sono penetrate nella nostra quotidianità: senza dimenticare il modo in cui la cultura popolare (i libri di fantascienza, il cinema, la musica, la moda, ecc.) ha plasmato la nostra percezione dei robot giocando spesso sul binomio identità-differenza.
La mostra spazia da robot che hanno un aspetto industriale a installazioni che esplorano la linea di demarcazione tra il lavoro automatizzato e la creatività umana. L’impatto delle nuove tecnologie sulla quotidianità è, come detto, al centro di diverse postazioni della mostra, che illustrano tanto l’applicazione della robotica nelle cure infermieristiche, quanto l’entrata del digitale nella sfera dell’intimità con un’allusione, per esempio, al cybersesso.
Non mancano neppure piani architettonici di città intelligenti ed ecologiche, o portali web che ti svelano la rapidità con la quale molti lavori diventeranno obsoleti nel prossimo futuro perché sostituiti dalle macchine. Camminando fra le sale, poi, sugli schermi accesi qua e là potrete ascoltare le testimonianze di alcuni interpreti dei recenti sviluppi tecno-scientifici: Elon Musk, Stephen Hawking, Ray Kurzweil, per citarne alcuni. Anche in questo caso, i confini fra scienza e fantascienza si scoprono essere molto permeabili.
Pronti allora per partire verso il paese dei robot? Non preoccupatevi, non correte il rischio di rimanere in ostaggio di qualche macchina maligna! Al contrario, come avrete capito, non solo l’atmosfera dell’esposizione è assai gradevole, ma la promessa è di portarsi a casa un bel ricordo e di imparare cose nuove. E se poi qualche donna o uomo affascinante dovesse farvi l’occhiolino mentre girate fra le sale, provate a improvvisare una conversazione. Se dopo qualche domanda trovate che le risposte siano incoerenti, fuori luogo e poco attendibili, allora forse siete al cospetto di una macchina.