Christine, quarant’anni più tardi

La colonna sonora di «Christine», film dedicato alla tragica vicenda della reporter americana Christine Chubbuck, diventa riflessione su una vita spezzata dalla solitudine
/ 21.11.2016
di Benedicta Froelich

Nell’ambito della cultura popolare, esistono casi in cui quello che il geniale psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung chiamava «inconscio collettivo» sembra operare in maniera misteriosa e, per noi, spesso imperscrutabile.

Non c’è altro modo di spiegare il curioso fenomeno verificatosi quest’autunno in relazione a un dramma umano che i più sembravano aver dimenticato, e che oggi, dopo oltre quarant’anni di quasi assoluto silenzio, torna inaspettatamente quanto improvvisamente alla ribalta. Stiamo parlando della tragica vicenda di Christine Chubbuck, giovane e tormentata giornalista statunitense che, la mattina del 15 luglio 1974, si tolse la vita sparandosi un colpo di pistola in diretta televisiva durante la trasmissione che, come d’abitudine, stava conducendo negli studi del canale WXLT-TV (situati a Sarasota, amena località balneare della Florida).

A tutt’oggi, il gesto disperato di Christine – che al tempo lasciò completamente spiazzati gli ignari colleghi di lavoro – rimane perlopiù incompreso e frainteso, tanto che per molti anni è stato ricordato principalmente per aver funto da ispirazione al noto film drammatico Quinto Potere (1976) e per via delle morbose e infinite ricerche dell’unica copia superstite della registrazione di quella diretta, che in molti si ostinano tuttora a voler visionare.

Eppure, ecco che, contro ogni previsione, l’edizione 2016 del noto Sundance Festival che si svolge ogni anno nello stato dello Utah (USA), ha visto in lizza ben due film dedicati alla storia di Christine Chubbuck: Kate Plays Christine, scritto e diretto da Robert Greene – qui alle prese con un esperimento a metà strada tra il film e il documentario – e Christine, pellicola biografica di stampo più tradizionale firmata da Antonio Campos, di cui è da poco giunta nei negozi la colonna sonora: una sorta di «capsula temporale» che ci riporta dritti nel cuore della musica easy listening prodotta tra la fine degli anni 60 e la prima metà del decennio dei 70, in una selezione incentrata sui pezzi che al tempo più impazzavano nei palinsesti delle stazioni radio americane. Tanto che l’apertura del CD è affidata nientemeno che all’immortale John Denver, di certo il più compianto tra gli interpreti di soft country made in USA, e a una ballata delicata e sentimentale quale Annie’s Song: un brano che, probabilmente, l’animo inguaribilmente romantico di Christine apprezzava anche nella realtà.

Forse basandosi su una simile premessa, il CD alterna suggestioni languide e passionali (si vedano pezzi sentimentali quali Rock Your Baby di George McCrae e la versione di Bobby Sherman del classico She Lets Her Hair Down (Early In The Morning), inizialmente portato al successo da Gene Pitney e i suoi Tokens), a momenti più sagaci e ammiccanti, come nel caso di I’m Leaving It All Up To You – qui presentato nell’interpretazione di due artisti di culto del periodo come Sonny & Cher – e dello spensierato Tighter, Tighter, con cui, nel 1970, i semisconosciuti Alive And Kicking arrivarono alla settima posizione nella Top Ten americana.

Ma non è tutto: l’atmosfera generale si fa infatti più intrigante con il brillante e poco conosciuto Life’s Little Package Of Puzzles, a firma Spooner Oldham, e con Laughing, grintoso brano uptempo dei sempre interessanti Guess Who; mentre la gemma del CD è senz’altro l’eccellente Please Come To Boston, brano romantico soffuso di una vera, palpabile sofferenza, evidente nell’eccellente interpretazione di Dave Loggins: un pezzo che, risalente proprio all’estate 1974, sembra quasi avvicinarci ai sentimenti di Christine.

Del resto, la tragica vicenda della Chubbuck è raramente stata interpretata per quanto davvero era: non soltanto un atto di protesta rivolto ai suoi superiori – per i quali gli unici reportage televisivi interessanti erano quelli relativi a fatti di sangue – ma anche il disperato grido di aiuto di una donna che, schiacciata da una solitudine e un isolamento emotivo ai suoi occhi inspiegabili, si era razionalmente convinta di essere un caso senza speranza, al punto da volersi assumere la responsabilità della propria sparizione dalla scena.

Eppure, è difficile ignorare il ruolo rivestito nella vicenda dal contesto della società middle class americana del tempo – in cui non solo era difficilissimo, per una donna, farsi strada nel mondo spietato della televisione, ma in cui una 29enne single come Christine veniva considerata quasi alla stregua di una zitella vittoriana; ed è questo, in fondo, a fare del gesto della Chubbuck un ricordo scomodo, rendendoci fin troppo consapevoli del fatto che non molto è cambiato, e che quanto accaduto in quella mattina del luglio 1974 potrebbe ripetersi in qualsiasi momento. Un motivo in più per cui lavori come Christine e la relativa colonna sonora presentano una rilevanza che travalica il semplice merito artistico per rientrare piuttosto nel novero delle opere d’arte destinate a riportarci indietro nel tempo, con l’obiettivo di risvegliare le nostre coscienze.