Chiara Bersani: «il mio corpo è politico»

Personaggi - La figura di un’artista eclettica e provocatoria che espande i confini dell’attività teatrale utilizzando vari media
/ 13.07.2020
di Giorgia Del Don

Contaminazione è certamente la parola che più si addice all’universo di Chiara Bersani, un’artista unica ed inclassificabile che alle etichette ha sempre preferito il dialogo: frontale ma benevolo, rischioso ma catartico. Lei stessa innesto, come un fiore esotico che si ritrova improvvisamente a dover vivere in un ambiente nuovo e per molti versi ostile, Chiara Bersani ha da sempre dovuto lottare per esistere in quanto «unicum» di una specie ancora senza nome.

Nell’universo della performing art italiana (ma non solo), i corpi «atipici» come il suo non sono di certo ampiamente rappresentati malgrado si ritenga spesso che la danza contemporanea abbia liberato la scena dall’imperativo dell’atletismo e della grazia eterea promulgato dal balletto classico. Una cosa è certa, eccezione fatta per la camaleontica Silvia Calderoni, le scene italiane, ma anche i luoghi di formazione, restano tristemente impermeabili alla diversità dei corpi che rappresentano invece la ricchezza delle nostre vite, che ci spingono a superare quelle barriere: di genere (sessuale ed artistico) e di linguaggio che ci imprigionano e che utilizziamo (troppo) spesso come corazza. Un’uniformizzazione rassicurante ma decisamente stancante dietro la quale Chiara Bersani, dall’alto dei suoi novantotto centimetri, non può nascondersi. Affetta da una forma medio grave di osteogenesi imperfetta (conosciuta anche come la «malattia delle ossa di vetro»), Chiara Bersani fa parte di quel gruppetto di straordinari outsiders che sono riusciti nell’arduo compito di contaminare l’universo stesso della performing art, senza violenza ma con un’intelligenza sottile non sprovvista d’(auto)ironia. Una miscela straordinaria di consapevolezza e apertura mentale che non può non sedurre penetrando nel profondo e facendo vacillare le certezze di molti.

Attiva nell’ambito delle arti visive e performative, dove è riconosciuta come una delle personalità più forti e interessanti della sua generazione (premio Ubu 2018 per il teatro come miglior attrice/performer under 35), Chiara Bersani ha sin da subito dovuto ingegnarsi per trovare una scuola equipaggiata per accoglierla (incredibile ma vero!). È infine alla Fondazione Lenz di Parma che comincia a formarsi prevalentemente nel campo della ricerca teatrale che contaminerà in seguito con la danza contemporanea e la performing art. Camaleontica per natura, Chiara Bersani non si è in mai imposta nessun limite per quanto riguarda la sperimentazione di medium complementari al teatro (come interprete ma anche e soprattutto come coreografa).

Lei stessa lo ammette, la sua ambizione come autrice è quella di «cercare di trovare sempre le giuste risposte, nella messa in scena, alle domande che muovono una creazione». È quindi in un certo senso il soggetto che definisce le modalità: danza contemporanea (con il suo ultimo lavoro Gentle Unicorn), performing art (Goodnight, Peeping Tom con i suoi partners in crime Marco D’Agostin, Matteo Ramponi e Marta Ciappina), teatro più «classico» (The Olympic Games, scritto a quattro mani con Marco d’Agostin), cinema (la famiglia disfunzionale di Miracle Blade), e non l’inverso. Una libertà di movimento che Chiara Bersani si concede senza paura, rimanendo sempre fedele ad uno sguardo riconoscibile fra mille: impertinente e colorato, profondo e sempre giusto.

Il pensiero fuori dagli schemi che la contraddistingue ha inevitabilmente influenzato anche la sua maniera di considerare i corpi «differentemente abili», una definizione che la irrita nel profondo: «come se ci fosse un solo modo di essere abili!» esclama a giusto titolo. Malgrado le difficoltà di inserirsi in un contesto artistico non sempre pronto ad accettare nuove sfide: come proporsi, raccontarsi come attrice con un corpo atipico? Quali sono i contesti più idonei a inglobare la fisicità così come lei l’intende? Chiara Bersani ha da subito voluto scostarsi dai circuiti classici delle compagnie «inclusive» (che lavorano solo o in parte con interpreti portatori di handicap). Questo non per criticarli ma per dimostrare che tutti i corpi, con le loro piccole grandi differenze, sono politici in quanto membrane che contengono la nostra interiorità senza poterci però proteggere dalla società che ci circonda e con la quale dobbiamo interagire in uno spazio preciso. Il nostro corpo, la sua esposizione, il suo sottoporsi agli sguardi degli altri diventa quindi inevitabilmente politico. «Il lavoro con il mio corpo nasce da un’esigenza che i corpi si mostrino, scendano in strada: chi li osserva, indipendentemente da come siano questi corpi, non può fare altro che accettarli e accoglierli, perché sono realtà. Non si salva nemmeno chi è “nella media”» spiega Chiara Bersani.

Una presa di posizione che ha dato vita a una trilogia estremamente potente composta da Family Tree, progetto che si sviluppa a partire dal corpo visto come punto di contatto fra passato e presente (famigliare), dal meraviglioso trio di Goodnight, Peeping Tom, e dal primo assolo di Chiara Gentle Unicorn. Quest’ultimo, in cui la performer dà corpo a un animale mitologico la cui presunta esistenza nasce da un fortuito malinteso, rappresenta il punto culminante di una riflessione che mette il pubblico al centro in quanto partner fondamentale di un processo di guarigione bidirezionale. Attraverso un susseguirsi di sguardi scambiati con quanti hanno deciso di prendere parte al rituale scenico, Chiara Bersani, un finto corno di peluche sulla fronte, chiama il pubblico in causa.

Fra le persone presenti su scena (il pubblico è seduto per terra in forma di ferro di cavallo) le relazioni si tessono naturalmente, come naturalmente si incontrano i loro corpi. Questo attraverso un movimento al contempo reale e immaginario che obbliga ognuno a guardarsi, ed è proprio questa la vera potenza della scena. Durante quarantacinque minuti, Chiara Bersani dilata all’estremo lo sguardo fugace e non sempre benevolo della persona che si incontra per strada, e lo trasforma in riflessione. Un manifesto, il suo Manifesto, che nella sua radicalità nasconde la chiave per un incontro costruttivo fra tutti noi (meravigliosamente diversi) esseri umani: «Manifesto. Manifesto seduta, manifesto muta, manifesto occupando uno spazio, la mia voce è politica, il mio corpo è politica, la mia solitudine è politica, voglio disturbare con l’immobilità».