«Un eroe non è necessariamente chi vince, ma chi combatte una buona battaglia». Me le ricordo bene, queste parole che Mino Milani diceva nel suo studio in Piazza San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia, con un Dry Martini in mano, tra il rosso garibaldino degli arredi e il nero guizzante della sua gattina Sibilla. Ho avuto l’onore di incontrarlo spesso, mi accoglieva con il suo garbo ruvido e delicato, senza smancerie. Mentre lo ascoltavo parlare dei suoi libri, delle sue passioni, lo sguardo fiero su cui passavano ombre di malinconia, pensavo che così mi ero sempre immaginata, da bambina, Tommy River, il suo personaggio forse più noto, il cow-boy «che fa il proprio dovere», come amava ripetere il suo autore. Che sia in guerra, o in terra di frontiera, o condividendo la vita dei Cheyenne, o difendendo i deboli, o rendendo onore ai morti: ovunque lo portassero le asprezze della vita, Tommy restava un cavaliere del bene. La prima storia uscì nel 1958, sul «Corriere dei Piccoli», allora diretto da Giovanni Mosca, che chiese al giovane collaboratore – laureatosi in lettere a Pavia, dopo aver rinunciato agli studi di medicina, a cui voleva indirizzarlo la famiglia – di creare un western a puntate: «allora il West andava di gran moda, e io pensai a questo cow-boy che fa il suo dovere, che resta uomo nel senso più alto del termine, che non è un esaltato, ma anzi è spesso amaro e stanco, eppure va avanti e non si arrende, anche se ogni tanto tossisce e ha sbocchi di sangue per una pallottola che gli è finita nel polmone. La prima cosa che feci fu di dargli un nome, e volevo un nome che si leggesse com’era scritto: Tommy River. E poi volevo che non fosse un vincitore, perché ai ragazzi non importa che l’eroe sopravviva, e nemmeno che vinca. A loro importa che l’eroe combatta una buona battaglia».
E Mino Milani l’ha combattuta una buona battaglia, nella sua vita lunga novantaquattro anni, tutta spesa a incantarci con le sue storie, a farci vivere avventure, e tutta vissuta nella sua amata (ma anche molto sferzata dal suo acuto senso critico e civico) Pavia, con periodi di lavoro a Milano, soprattutto al «Corriere dei Piccoli», trasformatosi più tardi nel «Corriere dei Ragazzi», per cui lavorò fino al 1977; e alla «Domenica del Corriere», per cui firmò la proverbiale rubrica La realtà romanzesca. Fino alla sua morte, nel febbraio di quest’anno, non ha smesso di scrivere, e di studiare. Perché Mino Milani fu anche autore di importanti studi storici principalmente sul Risorgimento e sul suo prediletto Garibaldi, oltre che autore di vari romanzi per adulti, tra cui il più celebre è forse quel Fantasma d’amore da cui Dino Risi trasse un film, con Marcello Mastroianni e Romy Schneider. Fu giallista apprezzato, in particolare per la serie con protagonista il commissario Melchiorre Ferrari, ambientata nella Pavia di metà Ottocento. E fu giornalista nel senso più stretto del termine, dirigendo per alcuni anni il quotidiano «La Provincia Pavese».
Ma forse è stata proprio la letteratura per ragazzi il campo che egli coltivò con più passione, spaziando brillantemente tra generi diversi: il fumetto, tanto per cominciare, che praticò con lungimiranza, impegnandosi per dargli quella dignità letteraria che oggi è di tendenza ma allora assolutamente no. «Ti sei dato a Bibì e Bibò», lo sfotteva, dimostrando meno lungimiranza, un compagno di gioventù che a differenza sua aveva portato a termine gli studi di medicina. E invece lui ci teneva, non solo a scrivere storie belle, ma anche a condurre i dialoghi con un linguaggio accurato: «se non curi il linguaggio cosa scrivi a fare – diceva – il fumetto allora era ritenuto un sottoprodotto, ma non da me, che cercavo di evitare ogni sciatteria e sguaiataggine, perché il lettore va rispettato sempre». E i suoi fumetti, che nelle illustrazioni portano la firma di grandi maestri come Hugo Pratt, Milo Manara, Sergio Toppi, Grazia Nidasio, Dino Battaglia, Aldo Di Gennaro, restano infatti memorabili. Il direttore degli esordi al Corrierino, negli anni Cinquanta, era Giovanni Mosca, che prediligeva il più tradizionale racconto illustrato e quindi, come dicevamo, il suo Tommy River nacque così, a puntate, con le illustrazioni di Mario Uggeri; ma con l’arrivo di Guglielmo Zucconi alla direzione il fumetto ottenne più spazio, e Mino poté sbizzarrirsi – addirittura firmandosi a volte con pseudonimi, come Piero Selva o Eugenio Ventura – ad esplorare filoni come la cronaca reale (con la serie «Dal nostro inviato nel tempo», dove poteva lasciar esprimere la sua passione per la Storia), o la rivisitazione di grandi classici (ricordo almeno L’isola del tesoro, illustrato da Hugo Pratt), o ancora il mistero (altra passione di Mino), il giallo, o la fantascienza.
Un altro genere che egli coltivò con successo è quello del romanzo mitologico, e anche in questo caso precorrendo i tempi. Sono tuttora apprezzatissimi dai giovani lettori romanzi come, ad esempio, La storia di Ulisse e Argo, La storia di Dedalo e Icaro, o i più recenti Ulisse racconta, o i Miti romani («che oggi non si conoscono più, perché di essi ha abusato il fascismo, quindi se ne diffida, invece vale la pena di conoscerli»). E poi il romanzo cavalleresco («il primo libro che ho letto, da bambino, fu La storia di Artù, di Sir Thomas Malory… quanto mi entusiasmò!»), presentato ai ragazzi in opere come I cavalieri della Tavola rotonda, o La ricerca del Santo Graal. Ma soprattutto, naturalmente, il romanzo storico: Milani ci ha lasciato storie meravigliose di giovani eroi, ambientate in vari periodi (e purtroppo non tutte attualmente disponibili in catalogo): Crespi Jacopo, Guglielmo e la moneta d’oro, Udilla (splendida figura di protagonista femminile), il biografico Seduto nell’erba, al buio, tanto per citarne alcune. E non mancano opere che raccontano temi sociali (era particolarmente affezionato a un romanzo ambientato in Africa, ispirato alla storia vera di un suo amico, Un angelo probabilmente).
Trait d’union tra tutte queste declinazioni letterarie è sicuramente l’avventura: che sia nel fumetto o nel romanzo storico, mitologico, cavalleresco, fantascientifico, realistico, quando Mino Milani racconta, racconta un’avventura. Forse davvero egli è stato l’ultimo grande scrittore d’avventura. Amava citare Salgari, tra gli autori prediletti da ragazzo: «Salgari mi ha salvato dal buonismo…», e infatti le sue avventure sono sempre contrassegnate da una dimensione etica autentica, profonda. Senza moralismi, né compiacimenti, né orpelli, come il suo linguaggio. Quella dimensione etica che i suoi due eroi preferiti, tra gli innumerevoli da lui creati, incarnano alla perfezione: Tommy River, personaggio western, e Efrem, personaggio medievale e protagonista del bel romanzo Efrem soldato di ventura. Due eroi «chiamati all’avventura. Non l’hanno cercata, ma hanno saputo affrontarla con coraggio e con umanità». Anzi, prima umanità, e poi coraggio, si era corretto Mino una delle ultime volte che l’avevo intervistato. E aveva aggiunto: «il coraggio di continuare a cercare il bene».