Bibliografia
Annientare, Michel Houellebecq, Milano, La Nave di Teseo, 2022


Che ne è stato di Houellebecq?

Poco sesso e sentimenti virtuosi: in "Annientare" lo scrittore francese è quasi irriconoscibile
/ 13.06.2022
di Roberto Falconi

È proprio vero che non ci sono più certezze, se anche Michel Houellebecq è diventato buono: pochissimo sesso, molti sentimenti virtuosi, il tutto esposto attraverso un romanzo apparentemente sconclusionato. Insomma, dicono alcuni lettori (e molti recensori), che ne è stato dell’autore di Sottomissione e di Serotonina, giusto per restare agli ultimi titoli pubblicati?

A me pare che in realtà Houellebecq abbia scritto uno dei suoi testi più radicalmente nichilisti, capace di Annientare anche la forma stessa del genere romanzo, depotenziandone le possibilità espressive e conoscitive. Se il mondo è così poco intelligibile, allora anche la letteratura non può che abdicare al proprio ruolo di (tentare di) mettervi ordine.

A cominciare dalla costruzione dell’intreccio, organizzato su tre cerchi concentrici. Il primo è costituito da una sorta di thriller di respiro internazionale: una serie di attentati terroristici, minuziosamente filmati e fatti circolare in rete, scuote la Francia e l’Europa tutta. Si inizia con un video (falso ma tecnicamente perfetto) che mostra la decapitazione di Bruno Juge, ministro dell’Economia francese. Poi vengono colpiti (questa volta sul serio) una nave portacontainer cinese, un’azienda danese leader nella vendita di liquido seminale e un barcone di migranti. Gli investigatori non ne vengono a capo.

La seconda vicenda riguarda le imminenti elezioni francesi (siamo nel 2027): Bruno Juge sostiene Benjamin Sarfati, star televisiva del partito presidenziale, già sapendo che dopo un quinquennio sarà lui il candidato all’Eliseo. Infine, c’è la tormentata storia famigliare del protagonista del romanzo, Paul Raison, principale collaboratore e confidente di Bruno. La perfezione geometrica della costruzione è tuttavia solo formale, venendo incrinata da elementi che mimano l’impossibilità di accedere pienamente alla realtà e alla sua complessità.

I tre piani, pur accomunati dal motivo del conflitto, restano infatti sostanzialmente irrelati dal punto di vista narrativo e la vicenda degli attentati è addirittura abbandonata, tanto che non si saprà mai chi siano e con chi ce l’abbiano i terroristi: se l’Occidente va male, non c’è più nemmeno un colpevole. E Houellebecq, non a caso, rinuncia qui a qualsiasi sovrastruttura e alle pagine saggistiche che caratterizzavano i romanzi precedenti.

Anche i personaggi appaiono poco memorabili, e sorprendono più che altro per la loro stereotipia (evidenziata dalla frequenza di nomi parlanti) e l’assenza di profondità psicologica. Paul è sposato con Prudence, vegana e seguace della wicca, con cui si ricongiungerà dopo un lungo periodo da separati in casa. L’ictus che colpisce suo padre è l’occasione per riportarlo nella vecchia casa immersa nei vigneti del Beaujolais, riunendolo alla sorella Cécile (ottima cuoca e, come il marito Hervé, cattolica di destra) e al fratello Aurélien, restauratore di tappezzerie medievali spinto al suicidio dalla moglie Indy, giornalista fallita e rancorosa (rancorosa perché fallita) che anni prima aveva scelto un donatore di sperma (nero) nonostante il marito non fosse sterile.

Credo contribuisca a questo effetto di annichilimento delle possibilità conoscitive del genere romanzo anche una sorta di parodizzazione dello stesso, ottenuta attraverso l’ostentata inverosimiglianza di alcune situazioni. Valgano, su tutte, la scena del rapimento del padre di Paul dall’RSA dov’è ricoverato, che la famiglia commissiona a un gruppo di estremisti anti-eutanasia. O quella in cui lo stesso Paul, prima di riprendere dopo una lunghissima astinenza la relazione con Prudence, decide di verificare la propria integrità sessuale con una escort scelta più o meno a caso tra gli annunci, e che, nella penombra dell’appartamento di lei, si rivelerà, a rapporto già avviato, essere la figlia di sua sorella.

Andrà notata pure l’assenza di significativi cambiamenti di ritmo e la sostanziale continuità temporale nei passaggi tra i capitoli, quasi a indicare che nemmeno la finzione letteraria riesce a porre qualche delimitazione nel flusso magmatico degli eventi. Realtà e finzione risultano pertanto indistinte e indistinguibili, come mi pare mostrino le provocatoriamente numerose e minuziose descrizioni dei sogni di Paul. Anziché fissarsi, come molti hanno fatto, sulla noia che il lettore prova nelle prime seicento pagine, sarebbe forse più costruttivo riflettere su quanta fatica sia costata all’autore la costruzione di un’atmosfera così radicalmente anestetizzante.

E, in tutta onestà, ridimensionerei anche l’entusiasmo di alcuni recensori per l’ultimo segmento del libro (che nella generosa interlinea dell’edizione in italiano arriva a 739 pagine), quando a Paul è diagnosticato un tumore particolarmente aggressivo, senza che ciò inneschi una vera riflessione sulla malattia (siamo, insomma, oltre la ricerca dell’Islandese-Leopardi). Né può salvare o costituire un orizzonte di possibilità l’amore per una donna (incontrato lungo la trama anche da Bruno e Aurélien), che mi sembra rappresentato soprattutto nella prospettiva della perdita.

Restano, a conferma della piena consapevolezza di questa operazione di depotenziamento del romanzo, alcune pagine davvero memorabili, prove inconfutabili della lucidità con cui l’autore sa guardare al mondo: Paul che prova dolore a seguito del pensionamento del proprio dentista («era quasi scoppiato in lacrime all’idea che sarebbero morti senza più rivedersi, anche se non erano mai stati particolarmente intimi.

Quello che non poteva sopportare era l’impermanenza di per sé; era l’idea che una cosa, qualunque cosa, finisse»); Paul che riflette sul fatto che abbia sempre preferito fare l’amore sul fianco («di tutte le posizioni sessuali, era la più amorosa e sentimentale, la più umana»), dormire sul fianco («l’unico modo per ritrovare quella posizione fetale che suscita in noi una irreparabile nostalgia»), nuotare sul fianco («l’unico modo che trasforma il nuoto in un’attività innocua, banale»), tanto che «si sarebbe potuto dire che Paul aveva cercato di vivere la maggior parte del tempo sul fianco»; Paul che guarda un documentario sulla migale, che molti allevano come animale domestico nonostante attacchi anche chi le dà il cibo («Qualsiasi sentimento le rimane per sempre estraneo. In sintesi, come concludeva il commentatore, la migale non ama gli esseri viventi»).

«Avremmo avuto bisogno di meravigliose menzogne», dice Prudence a Paul nella frase che chiude il romanzo. Non tanto l’addio tra due amanti, ma una vera e propria dichiarazione di poetica: anche il tempo della finzione e della manipolazione letteraria pare finito di fronte al non senso che ci circonda.