Che forza, il sesso debole!

L’attrice statunitense Scarlett Johansson è solamente l’ultima di una lunga serie di attrici che con grande coraggio si sono schierate contro scelte politiche per loro non condivisibili
/ 28.12.2020
di Giovanni Medolago

Ha suscitato vasta eco e soprattutto ha – quasi – raggiunto il suo scopo l’appello di Scarlett Johansson: un video su YouTube di tre minuti diffuso urbi&orbi nei giorni scorsi, dove lancia un duro atto d’accusa contro Al Sisi, generale che dopo il golpe del 2013 dirige con pugno duro l’Egitto. Obiettivo quasi raggiunto, poiché la Johansson chiedeva esplicitamente, con la liberazione di tutti gli attivisti, anche il rilascio di Patrick Zaki, il giovane egiziano studente all’Università di Bologna in galera dal febbraio scorso con l’accusa di propaganda sovversiva.

Mentre i genitori di Giulio Regeni, altro giovane studente caduto vittima del paranoico pugno di ferro egizio, aspettano da anni verità e giustizia, ecco che Al Sisi – sin qui sordo a tutte le richieste/proteste italiane sul «caso Regeni» – sorprende tutti liberando ipso facto tre di quelli che Scarlett definisce «innocenti che hanno passato la vita a lottare contro l’ingiustizia e ora si trovano dietro le sbarre. Un governo davvero democratico – tuona la star – celebrerebbe questi uomini anziché imprigionarli: sono i migliori tra noi».

Per Patrick Zaki, tuttavia, niente da fare: dopo quella che Maria Ricci sul «Corriere della Sera» la scorsa settimana ha definito «la sesta udienza-farsa», il giudice sentenzia che di libertà non se ne parla, almeno sino al 2021. Lo stesso giudice, lunedì 7 dicembre, ha addirittura allungato la carcerazione «preventiva» di Zaki di altri 45 giorni. Poi si vedrà: stando a Amnesty International il ragazzo rischia 25 anni di galera…

La Johansson continua l’ormai secolare tradizione di star del cinema che non hanno avuto timore alcuno nel prendere una posizione politica precisa, sia pro o contro il potere. La prima fu forse Mary Pickford (1892-1979): già fondatrice dell’importante United Artist con tre maschietti del calibro di Charlie Chaplin, David W. Griffith e Douglas Fairbanks, la «fidanzatina d’America» (in realtà era canadese) si mobilitò dopo l’entrata in guerra degli USA nel 1917. Tenne un discorso a Wall Street davanti a 50mila persone per mettere all’asta uno dei suoi riccioli, aggiudicato per 15mila dollari – dell’epoca! – e subito girati alla Marina Militare.

Negli Anni 30, con l’approssimarsi della nuova bufera, Brigitte Helm seppe dire di no a Göbbels, ma come il suo mentore Fritz Lang – che la volle doppia protagonista nel capolavoro Metropolis quando era solo una segretaria negli studi berlinesi dell’UFA – dovette pagare la sua scelta con l’esilio; non tornò mai più in Germania e morì ad Ascona nel 1966.

Chi seppe dire di no al baffetto austriaco in persona, che la corteggiò a lungo, fu Marlène Dietrich. Hitler la definì poi una traditrice quando l’Angelo azzurro intraprese varie tournée d’intrattenimento per le truppe Alleate, creando con Lili Marleen un inno al pacifismo. Va pure ricordata (eccome!) anche Hedy Lamarr, celebre soprattutto per il primo nudo integrale della storia del cinema (Estasi, 1933). Cercò due volte di sfuggire al marito (amico personale di Mussolini) e quando ci riuscì approdò a Hollywood a soli 18 anni. Laureata in ingegneria a Vienna e oppositrice del regime nazista, sviluppò un sistema di guida a distanza per siluri: fu snobbata dalla Marina statunitense. Poi, solo pochi anni fa, si scoprì che la Lamarr fu la prima a realizzare un sistema usato oggi nelle reti wireless e immediatamente, nel 2014, fu inserita nel National Inventors Hall of Fame statunitense per il suo brevetto.

Non possiamo dimenticare Katharine Hepburn: Babbo urologo tra i primi a parlare del pericolo delle malattie veneree, argomento allora concretamente tabù e mamma suffragetta che osava propagandare la contraccezione e il controllo delle nascite, non poteva che crescere ribelle. Espulsa dal College poiché sorpresa a fumare in camera, diede scandalo quando fu tra le prime a indossare i pantaloni e soprattutto per la sua lunga relazione con Spencer Tracy, sposato, irlandese e cattolico «osservante». La Hepburn si schierò sempre in campo democratico, e ciò non le impedì di mettersi in bacheca ben quattro Oscar quale miglior protagonista, record ancora oggi ineguagliato.

Last but not least, ecco Jane Fonda. La visita in Vietnam e il suo dichiarato appoggio alla causa dei Vietcong le valsero il soprannome di «Hanoi Jane». Rischiò l’ostracismo di Hollywood, che paradossalmente proprio nel tormentato 1972 – quando in TV Walter Cronkite aggiornava quotidianamente sul numero dei giovani yankees caduti, con cifre vieppiù agghiaccianti – le tributò il primo Oscar (Una squillo per l’Ispettore Klute). Altrettanto paradossalmente, Hanoi Jane vinse la sua seconda statuetta con Tornando a casa, drammatico racconto di un reduce incapace di superare il trauma post Vietnam.

Profeta della ginnastica aerobica (autentico boom social/mediatico negli Anni 80), si dice che influenzò a favore dei liberals la CNN, creatura dell’allora suo marito Ted Turner. A 83 anni il suo spirito battagliero l’ha portata a schierarsi decisamente per la causa ambientalista: lo scorso anno è stata arrestata per ben quattro volte dopo essersi ripetutamente rifiutata di lasciare la scalinata del Campidoglio al termine di una manifestazione.

Certo abbiamo dimenticato qualche altra star (ad esempio Liz Taylor, che si batté contro Reagan, negazionista riguardo all’AIDS), ma ci è piaciuto ricordare il coraggio e la forza del cosiddetto sesso debole, che debole non è.