Difficile per non dire impossibile separare il personaggio (Cat Power) dalla persona (all’anagrafe Chan Marshall) tanto le due entità s’influenzano (nel bene e nel male), si nutrono e s’intrecciano reciprocamente. Ma in fondo, ha senso tentare una tale manovra trattandosi di un’artista complessa e misteriosa? Quello che rende Cat Power unica e destabilizzante è la fragilità e l’ambiguità del suo mondo popolato da amanti feriti, eroinomani dal cuore spezzato ed emarginati dalle braccia tatuate.
La nostra regina di Atlanta non è certo nata nel posto o nella famiglia «giusta». La sua vita è marcata fin dall’inizio dalla crudeltà di un mondo che non tollera facilmente la diversità e che la spinge dietro le quinte anziché sotto i riflettori. Ma come ogni storia dal finale inaspettato Chan Marshall ha saputo stravolgere la situazione, spesso a proprio vantaggio.
L’incontro decisivo che ha dato il via alla sua carriera è quello con due grandi della scena rock indipendente: Steve Shelley (batterista dei Sonic Youth) e Tim Foljahn (chitarrista dei Two Dollar Guitar) che l’hanno scoperta nel 1993, durante una performance dove suonava come gruppo di spalla di Liz Phair. Conquistati dal suo carisma controcorrente, Steve e Tim decidono di produrre i suoi primi due album: Dear Sir e Myra Lee (il nome della madre di Cat Power) sperando di lanciare un’artista per la quale provavano ammirazione e rispetto.
I due album sono registrati nel dicembre del 1994, in un piccolo studio nello scantinato di un appartamento di Mott Street, a New York. Le venti canzoni che compongono Dear Sir e Lyra Lee nascono in un solo giorno e fanno il loro ingresso sul mercato rispettivamente nel 1995 e nel 1996. Cat Power esprime in questi due primi lavori tutta la potenza del suo mondo interiore, come se ne dipendesse la sua stessa vita. La sua voce è misteriosa, a tratti incerta, costantemente sul punto di spezzarsi e le melodie, seducentemente lo-fi, sottolineano alla perfezione l’atmosfera ombrosa e sensuale al contempo.
Il 1996 è l’anno del cambiamento, Cat Power pubblica con l’etichetta Matador Records il suo terzo album What Would the Community Think, che viene prodotto dal suo compagno di scorribande Steve Shelley (questa volta Tim Foljahn non farà parte dell’avventura). Il nuovo album è più maturo, meno denso e angoscioso rispetto ai due lavori precedenti e rivela uno stile musicale unico che diventerà il marchio di fabbrica di Marshall. Il mito Cat Power è nato, trascinando con sé i traumi e le conquiste di un’artista che vive la propria esistenza come fosse un personaggio di un film mumblecore (movimento di cinema indipendente nato all’inizio degli anni 2000 con film a basso budget), tra commedia e dramma.
In una decina di album l’indomabile diva ha saputo trasformarsi fino a cambiare pelle, destabilizzando il suo pubblico per poi consolarlo, come una sacerdotessa terrena e mistica. La sua vita fatta dei ricordi di un passato difficile cui si aggiungono un futuro incerto e la consapevolezza di essere sopravvissuta già a mille catastrofi, sono il cibo che nutre il suo universo artistico. La musica diventa per lei una sorta di terapia dolorosa ma necessaria per la ricerca di un’ipotetica e (forse) illusoria catarsi emotiva. La scena si trasforma sotto i suoi piedi in un divano freudiano dove sdraiarsi per parlare dei propri tormenti. Le sue performance live, in bilico tra perfezione e catastrofe, provocano nello spettatore sentimenti contraddittori che fluttuano tra fascino e rigetto, disagio ed estasi.
Il recente concerto all’Alhambra di Ginevra per il festival La Bâtie è un esempio luminoso di riuscita per Cat Power, che in quell’occasione ha saputo incantare il pubblico con una performance ricca di pathos ma anche di momenti di apatia solitaria. Lo stesso non si può certo dire di tutte le sue prestazioni sceniche, che scivolano a volte verso la follia pura: soliloqui sconclusionati, brani che si susseguono senza pause in un vortice sonoro che non lascia spazio agli applausi, nei casi più estremi attacchi di panico che la spingono a lasciare improvvisamente il palco (la dipendenza da alcool e droghe sicuramente non aiuta).
Quello che è certo è che per Cat Power il pubblico si trasforma in testimone necessario e balsamo per lenire le sue innumerevoli ferite: «i miei fan sono la sola ragione per cui sono ancora viva» dice con una sincerità sconcertante. La carriera della nostra reginetta underground non brilla certo per costanza e linearità, ma è anche questo a farla scintillare: come una diva di altri tempi è estrema e sorprendente.
Sacerdotessa folk intimista (Dear Sir e Myra Lee), matrona blues d’altri tempi (The Greatest, che le è valso il prestigioso Shortlist Music Prize 2006) o ancora icona pop luminosa nel suo ultimo album autoprodotto Sun, con il passare degli anni Cat Power non ha perso la sua fragilità e il suo charme selvaggio. Capace come pochi di reinventarsi, non ha mai esitato a mettersi in pericolo.
Sebbene i fan della prima ora le rimproverino i suoi numerosi cambi di rotta che l’hanno a poco a poco allontanata dallo stereotipo dell’artista torturata, Miss Marshall ha continuato per la sua strada, incurante dello sguardo della gente (come recita il suo terzo album What Would the Community Think). Non è forse questa una prova di coraggio, per non dire di pazzia? Il crollo fisico ed emotivo che ha dovuto affrontare nel 2006, a causa di anni di abusi e di una relazione sentimentale finita male, ci mostra quanto il prezzo da pagare per una tale libertà sia alto, anche se, come Chad insegna, l’importante è rialzarsi.
L’EP The Greatest, registrato con la portentosa Memphis Rhythm Band, è il balsamo lenitivo che ha curato (in concomitanza con un breve ma intenso soggiorno in cura di disintossicazione) le ferite di questo periodo difficile. Con questo nuovo EP Cat Power sembra essersi reincarnata in una showwoman dai talenti inaspettati che gioca con il pubblico, come una vera star. «Mi sentivo come se mi fossi svegliata improvvisamente» dice, come a volersi scusare delle sue eccentricità passate o forse semplicemente per mostrarci che ce l’ha fatta a sopravvivere, ancora una volta. Dopo un album di cover elegante ma non di certo trascendentale (Jukebox, 2008) Cat Power sorprende nuovamente con Sun (2012), una collezione di nuove canzoni, più (forse troppo) pop e accessibile rispetto ai suoi precedenti lavori ma comunque intriso di un innegabile animo di cantautrice. Anche il suo aspetto è cambiato: capelli corti e pelle abbronzatissima, come se il sole l’avesse letteralmente bruciata.
L’ombra ha lasciato il posto alla luce spazzando via i fantasmi del passato, o almeno così sembra… solo il futuro saprà dirci quali trasformazioni ci riserverà ancora la nostra Cat. Una cosa è certa, i suoi capelli hanno deciso di ricrescere.