La televisione ci ha assuefatto ai cortocircuiti tra informazione e intrattenimento, con programmi che dovrebbero fornire qualche chiave di lettura del mondo e dei suoi drammi che si fanno invece palestre per la chiacchiera ignorante, per un poco decoroso spettacolo da circo. Stupisce di più, e incuriosisce, il movimento inverso; cioè quello in cui l’intrattenimento è fatto da chi altrimenti produce informazione di qualità, in particolare giornalismo critico, informato e stimolante (comunque la si pensi…), e fuori dal solito coro mainstream.
Mi riferisco a Carta Canta, il quiz dell’estate che Nove (venerdì, seconda serata, 30 minuti) ha affidato a Marco Travaglio (presentatore) e a Selvaggia Lucarelli (in veste di svagata notaia). Travaglio ha cantato, fatto teatro e cinema; ma qui il cimento è diverso, si tratta di mettere i panni del «nemico», gestire un quiz giocando su un sottotesto ironico, da dosare con cura per non scadere nella pantomima. Più nelle corde della Lucarelli, giornalista, blogger e «influencer» vispa e acuta nei giudizi, protagonista di epici certami social con mostri sacri dell’italico infotainment.
Il tono è, appunto, ironico con qualche bella alzata di cinismo, un po’ british e poco pop, tutto sorrisi a mezza bocca; ironia e cinismo anche verso i due concorrenti (è programmaticamente bandito l’uso del «tu»), ai quali non si risparmia qualche commento velenosetto in caso di risposta errata. Si sa che alla caratteristica vena critico-censoria dei conduttori non corrisponde una loro predisposizione all’autocritica, entrambi assisi e giudicanti dai loro scranni di clamorosa (diciamolo: in generale meritata) autostima. E le punzecchiature tra i due conduttori sono minime, cortesi, quasi affettuose, nessun’aria di dibattito e di confronto; un porto di quiete, rispetto al resto della settimana.
Il quiz è quanto di più classico nella forma (la griglia di domande, il «domandone» finale al vincitore della griglia, e il premio finale) e poco banale nella sostanza. Al centro delle domande i protagonisti della politica, della cultura, dell’informazione e dello spettacolo, tutti però presi gelidamente per i fondelli; il domandone impone al concorrente – e l’idea non è male – di prevedere il numero di risposte giuste e sbagliate che darà; il premio del tutto simbolico è un’ultima occasione per mettere alla berlina il personaggio protagonista del domandone (Briatore, Barbara d’Urso, tra gli altri «mostri»). Travaglio fa anche un po’ il Mike Bongiorno, lo imita sobriamente nel gesto e nella voce; Lucarelli scherza bonariamente sull’abbigliamento un filo impiegatizio del collega.
Un programma ideato da Travaglio, in cui c’è l’impronta della premiata ditta Forzano (Duccio alla direzione artistica, Matteo alla regia). Trenta minuti ben confezionati su una rete con poco pubblico; e con paludati critici, giornalisti e giornalai, in particolare le «vittime» che Travaglio semina quotidianamente altrove, che pregano per un (probabile ma immeritato) fallimento di livello di ascolti.