Veniva dal mare, si è spento sulle nevi elvetiche, ed è quasi un simbolo della sua parabola artistica. Lunedì scorso Carlo Ciceri, quarantunenne compositore di La Spezia (ne avrebbe compiuti 42 a maggio) è stato vittima di un grave incidente mentre sciava. Ligure, era ormai divenuto una figura tra le più attive nella musica contemporanea svizzera e nella formazione musicale ticinese: le sue opere, già premiate alla Biennale Musica di Venezia e presentate a Milano Musica, sono state commissionate a Zurigo, Basilea, dall’Osi. Al Conservatorio della Svizzera Italiana era divenuto il responsabile della rassegna 900 Presente e della Postformazione-Formazione continua, nonché delegato per i progetti strategici della Fondazione CSI e membro della Commissione di Direzione.
La lettera che il direttore generale della Fondazione Christoph Brenner ha mandato a tutto il personale coglie con icastica lucidità che cosa significasse la presenza di Ciceri nella vita del Conservatorio: «Con Carlo perdiamo una persona e una personalità insostituibili: competente negli aspetti musicali, grande conoscitore del repertorio contemporaneo e nei più svariati campi della cultura, abile nelle relazioni umane e carismatico, in possesso di uno spirito imprenditoriale, avverso alla burocratizzazione, capace di pensare in maniera strategica. Carlo è stata una di quelle persone rare capaci di ragionare out of the box senza ideologie e senza preconcetti, senza preoccupazioni di potere o di gloria personali. Ha portato avanti i progetti del Conservatorio con passione, determinazione e successo, senza rinunciare a un sano senso dello humor, anche e volentieri un po’ anarchico, che bene s’inseriva nel team del Conservatorio. Siamo tutti molto scossi e provati per l’accaduto. Lascia in chi ha avuto il piacere di poter lavorare con lui, un grande senso di vuoto e di sgomento».
Uno dei più recenti saggi del suo «spirito imprenditoriale, avverso alla burocratizzazione» era stata la creazione, nell’aprile 2020, di una «Borsa di studio di emergenza» con la quale aiutare gli studenti in difficoltà economica. Ciceri era consapevole di come per vari allievi, magari provenienti da Spagna, Italia, Paesi dell’Est e quindi gravati anche dalle spese di affitto, l’unica entrata finanziaria fossero i concerti che già tenevano e di come la loro sospensione sarebbe risultata esiziale quando anche le famiglie non avrebbero potuto sostenere gli studi dei figli. Per questo motivo aveva ideato una procedura snella (lo studente compilava un formulario, cui seguiva un colloquio telefonico per approfondire le questioni più delicate di carattere economico), rapida, che non si basava sul talento dei richiedenti, e che nelle prime tre settimane aveva già fatto fronte a 30 delle 40 richieste, grazie al coinvolgimento dei privati da cui erano già arrivati oltre 60mila franchi.
Il senso dello humor Ciceri lo applicava innanzitutto a sé; più di una volta, anche in interviste pubbliche, si era divertito a definirsi «una cavia del Conservatorio» per essere stato il primo diplomato del corso di composizione. Il musicista spezzino infatti era approdato a Lugano già per completare la sua formazione, seguendo i corsi di Direzione di ensemble per la musica contemporanea con Giorgio Bernasconi e di Composizione con Nadir Vassena. E ancor prima di Lugano era stata Basilea ad accoglierlo quando, neodiplomato in Musicologia, vi si era recato per perfezionarsi.
Come raccontato in un’intervista rilasciata alla RSI, aveva incontrato la musica «a cinque anni e mezzo, la settimana prima del primo giorno di scuola, quando i miei mi portarono a provare il pianoforte da un maestro cieco»; fu una folgorazione: «In casa avevo solo una pianola Bontempi, su un tavolino: ci passavo le serate, i miei si insospettirono e iniziarono a pensare che ci fosse qualcosa di serio».
Nel 2000 il diploma in pianoforte, quindi il passaggio alla musicologia e a Basilea «il pianoforte diventò lo strumento con cui leggere partiture per altri strumenti e per orchestra; da lì l’interesse per la contemporanea e poi il tentativo di essere io stesso a crearla».
Ragionava out of the box anche da compositore: spaziava dalla rilettura di Schubert per riflettere sul tema del viaggio alla «drone metal» per ricercare un’esperienza fisica e non solo intellettuale e uditiva della musica, sfruttando le amplificazioni per far vibrare il corpo dell’ascoltatore.