Carlo Cesare Malvasia

Trattati/2 - Le sue Vite dei pittori bolognesi è uno dei molti libri che in Italia applicano il modello critico del Vasari alle scuole pittoriche delle diverse città – Seconda parte
/ 25.05.2020
di Gianluigi Bellei

Il conte Carlo Cesare Malvasia (1616 -1693) discendeva da una nobile famiglia bolognese. I suoi studi erano tipici della sua condizione sociale. I corsi di Lettere e poi quelli di Diritto. Nel 1638 ottiene la laurea «in utroque iure». Si trasferisce a Roma dove prende l’abito sacerdotale. Ritorna a Bologna e ottiene la pubblica lettura di Diritto all’università. L’Università bolognese era in quegli anni in crisi. Nei primi del ’500 passa sotto il governo pontificio e, dopo il Concilio di Trento, il controllo religioso diviene via via più rigoroso. Un luogo di tradizione dove l’attività culturale dipendeva dai Gesuiti. Insomma, censura e baronato: la scelta dei collegi dottorali e dei professori era limitata unicamente ai bolognesi.

Malvasia si muove in quest’ambito. La sua attività letteraria è influenzata da quella in voga di Giovan Battista Marino (1569-1626): un modello barocco e pittorico. Il marinismo bolognese è rappresentato da Claudio Achillini (1574-1642) dal quale il Malvasia si lascia attrarre. Di ben altro valore – scrive Marcella Brascaglia – è l’approccio di Malvasia all’ambiente pittorico cittadino. Il conte frequentava con una certa regolarità gli studi degli artisti. Anzi, lui stesso aveva appreso e praticato l’arte come allievo del Campana e del Cavedone, due discepoli dei Carracci.

Nel 1647 esce la ristampa delle Vite di Giorgio Vasari, suscitando discussioni e interesse. Vasari incentra il suo lavoro sugli artisti fiorentini. Dopo la prima edizione delle Vite cresce la storiografia artistica locale, da una parte, e teorica, dell’altra: il Baglione con le vite dei romani (1642), il Ridolfi dei veneti (1648), il Soprani con i liguri (1674)… Malvasia lavora per più di un ventennio alla Felsina pittrice e per documentarsi viaggia, ricerca documenti e notizie.

Lo schema del libro ricalca quello del Vasari. Una visione progressiva della pittura che va dalla rozzezza dei primitivi alla perfezione dei contemporanei. Da Manno e Franco passando per Vitale, poi Pietro de Lianori e Bonbologno fino a Lippo Dalmasio e Francesco Francia, per arrivare ai Carracci e a Guido Reni. Il patriottismo cittadino anima tutta la Felsina, tanto da sospettare della sua obiettività. Bologna è una città «favorita dal cielo» e di conseguenza, per dimostrarlo, si possono inventare prove o documenti come le lettere di Annibale a Lodovico nella biografia dei Carracci. Ma forse il più famoso falso è il sonetto che Malvasia attribuisce ad Agostino Carracci che lo avrebbe composto in onore di Nicolò dell’Abate.

Rispetto al Vasari il conte ha un notevole interesse per la psicologia dell’artista. A questo scopo numerosi sono gli aneddoti, i motti, le facezie, le burle che costellano le pagine della Felsina e che determinano il carattere del pittore. Il matto è Leonello Spada, quelli di bell’umore sono Baglione, Viola, Curti, Spada, il solitario Domenichino, pittore angelico e puro di cuore il Guercino, Lavinia Fontana virtuosa e buona ma è Elisabetta Sirani «il culmine della perfezione femminile».

Malvasia usa un genere letterario misto che mescola uno stile narrativo elevato a uno basso. Da una parte scrive: «Eccolo (il mondo della pittura) sotto l’effigie or d’innocente fanciullo, or di venerando vecchio, or di grave matrona, or di pudica verginella: qui vil bifolco, là porporato eroe». Dall’altra: «Gionto a casa burlava sempre la moglie… non vi ho gonfiat’io il busto, e fattavi venire grassa come una troia? Bella e pulita come la bertuccia di castracane?». Martino Capucci definisce il testo un «genere onnivoro», mentre Julius Schlosser Magnino ne parla come di un autore focoso con la lingua tagliente.

Se per Vasari è Michelangelo il paradigma della perfezione, per Malvasia è Lodovico Carracci, il «Messia» di una nuova era. «Egli – scrive – avanti ad ogni altro, delle doti particolari di ciascheduna scuola il reciproco cambio, con felice successo, ha tentato e concluso».

Bibliografia
Edizione di riferimento (dalla mia biblioteca): Carlo Cesare Malvasia. Felsina pittrice. Vite dei pittori bolognesi, Bologna, Edizioni Alfa, 1971.