Alta, bionda, tedesca: essendo una diva assoluta della lirica mondiale vien spontaneo figurarsela come un’algida valchiria, discesa dall’inaccessibile Valhalla wagneriano per soggiogare i melomani dei cinque continenti. Ma bastano poche frasi per capire che il mondo di Diana Damrau è tutt’altro: il 45enne soprano bavarese, protagonista in questi giorni alla Scala di Milano come Contessa nelle Nozze di Figaro arricchisce la sua sintassi con frequenti, sonore risate. «Quello del tedesco severo e austero è un vostro stereotipo, e poi io sono bavarese, della Germania del sud: rispetto ai nostri connazionali del nord siamo più aperti e selvaggi; fino a quando non mi sono nati i due bambini mi sono tenuta in forma ballando il flamenco e cavalcando, ora mi alleno correndo dietro a Colyn e Alexander: hanno 3 e 5 anni» spiega, ovviamente ridendoci su.
È nata in un piccolo paese, Günzburg, da una famiglia dove non c’erano musicisti. «Da piccola pensavo che avrei potuto diventare una ricercatrice in Amazzonia o comunque trovare un lavoro legato alla natura, che adoro; ma già amavo cantare, ballare e intrattenere improvvisando spettacolini. Niente di classico comunque: al massimo musical come A Chorus Line o Staying Alive con l’idolo John Travolta».
La conversione a 12 anni, guardando la Traviata con Teresa Stratas e Placido Domingo nella versione cinematografica firmata da Franco Zeffirelli: «Una folgorazione, capii subito che la lirica sarebbe stata la mia strada: le melodie, i colori, mi affascinava la forza di quella donna come – avrei scoperto poi – quella delle altre eroine verdiane: Gilda, Amalia, Luisa… tutte vittime, ma capaci di trovare dentro di sé una grandissima forza per affrontare situazioni difficili».
Trent’anni dopo è stata Traviata all’inaugurazione della stagione 2013 della Scala: fu lei a salvare un allestimento che suscitò non poche critiche: «La mia prima insegnante, Carmen Hanganu, mi ripeteva che dovevo avere almeno un sogno per la mia vita personale e uno per la mia carriera; le rispondevo scherzosamente: cantare Violetta alla Scala e non morire! Beh, l’ho fatto, e per un 7 dicembre, e sono ancora qui… Anche se le confesso che sul palco morire è divertente». Non sognava neppure, come avrebbero invece fatto tante sue colleghe, di essere protagonista anche nell’Europa riconosciuta diretta da Riccardo Muti per la memorabile riapertura della Scala dopo il restauro, nel 2004: «Una tensione pazzesca, sentivamo gli occhi di tutto il mondo musicale puntati addosso, ma fu un’esperienza straordinaria».
Ora sta impersonando la Contessa per la prima volta in carriera dopo essere stata spesso applaudita come Susanna: è il tempo che passa? «No, è la voce che sta arrotondandosi; se prima ero una Susanna troppo giovane ora i 45 anni sarebbero troppi anche per la Contessa», ride, «Mozart comunque è una splendida fisioterapia per la voce, ti spinge ad essere naturale, nella sua musica ogni forzatura diventa caricaturale, ogni esagerazione suona stonata».
Per lei non sono esagerati neppure gli incredibili acuti raggiunti nel Flauto magico dalla Regina della Notte, tante volte cantati sul palco «ma anche nelle mura domestiche: quando devo sgridare i figli mi immagino di essere la Regina, ma delle sue arie accenno solo qualche nota, basta per farli stare buoni. Per le coccole invece amano le melodie popolari della nostra terra, per la sera la Ninnananna di Brahms».
La musica risuona frequente in famiglia anche perché suo marito è un basso-baritono francese, Nicolas Testéat: «Quando possiamo cerchiamo di cantare assieme: abbiamo da poco fatto i Pescatori di perle al Metropolitan di New York; i bambini ci seguono alle prove, ormai conoscono le arie di vari nostri personaggi, anche se non ho ancora capito se preferiscono la classica o il rock; di certo per ballare vogliono Michael Jackson».
Anche quando affrontano la stessa opera non possono trasferire i loro affetti sul palco: «Colpa sua» ride Diana «i duetti d’amore sono quasi sempre tra soprano e tenore, Nicolas sul palco mi può far da padre, da zio o al massimo da cattivo come Francesco, uno dei due fratelli-criminali innamorati di Amalia nei Masnadieri di Verdi». Nonostante la fama e la classe, non si atteggia a diva: «Quando canto non voglio sfoggiare me stessa, desidero che il pubblico palpiti per il personaggio che interpreto; quando sono lontano dalla ribalta invece voglio che la gente mi apprezzi per quel che sono, non per quello che mi ha sentito cantare».