Buonasera Frankenstein, bentornata Mary

Margherita Saltamacchia incontra i mostri di Mary Shelley
/ 06.06.2022
di Giorgio Thoeni

Carpire i segreti della natura è una costante della ricerca nello slancio alla conquista del sapere, della conoscenza. Come l’impossibile formula per ridare la vita alla materia inanimata. Una dimensione fantastica, dalle radici esoteriche e alla base di un’infinità di riflessioni, di rimandi al mondo dello scibile ma anche a contorti labirinti di misteri a cavallo fra fede e creazione, fra anima e materia.

Può un romanzo scatenare tutto ciò? Per rispondere occorre munirsi di più piani d’ascolto. Come è riuscita a fare Margherita Saltamacchia affrontando la rilettura di Frankenstein o il moderno Prometeo accostata alla figura di Mary Shelley, la sua autrice, traendo cioè spunto dal suo diario e dalle lettere, documenti che testimoniano un’esistenza complicata e molto travagliata.

Dunque, non solo una brillante operazione di riduzione e adattamento del testo per una platea teatrale ma l’originale narrazione in prima persona costruita sulle tematiche racchiuse nelle pagine del romanzo ottocentesco considerato il primo esempio di fantascienza della storia, un oggetto di culto e punto fermo sul tema della creazione artificiale d’un essere umano. Un sogno di secoli e un problema particolarmente vivo già nel Settecento, come ha sottolineato Mario Praz in una sua celebre prefazione, un vero e proprio mito alla pari del golem d’argilla di Prometeo punito da Zeus.

A due anni dal suo debutto riecco dunque Frankenstein, autoritratto d’autrice, uno spettacolo prodotto dal Teatro Sociale di Bellinzona (dramaturg Cristina Galbiati) e tornato in scena al Foce per raccogliere gli applausi del pubblico luganese. Un allestimento volutamente sobrio per lo spazio dovuto all’interpretazione in voce della Saltamacchia al microfono vintage campionato ad arte per differenziare il racconto della Shelley da quello della Creatura e del suo Artefice, tre personaggi che emergono dalle atmosfere musicali dark e metal di Christian Zatta alla chitarra elettrica.

Intensa, efficace e solida, la struttura del racconto vede i suoi protagonisti assumere così una dimensione appassionata, matura e avvolgente grazie all’ottima prova dell’attrice con un lavoro che regala al pubblico il misurato senso dell’esplorazione accurata, giusta e profonda, su un soggetto che va ben oltre l’episodio del romanzo gotico e del suo suo mostro senza nome. Un Frankenstein che conduce ai sogni dell’autrice ma anche alle sue sofferenze di madre, alle sue infelicità di sposa, alle fragilità e alle visioni di Mary.