Breve, intensissimo e a distanza causa pandemia. È il 71esimo Festival del film di Berlino, svoltosi fino a venerdì per giornalisti e addetti ai lavori, vedendo i film e seguendo gli incontri online da casa, mentre il pubblico parteciperà alla seconda parte della manifestazione, prevista in presenza a metà giugno. Se un anno fa la Berlinale fu l’ultima a concludersi regolarmente mentre il Coronavirus si diffondeva nel mondo, stavolta è stata la prima grande kermesse internazionale svoltasi da remoto. Un’esperienza straniante che toglie quasi tutto ciò che fa un vero festival e consente di guardare i film in condizioni lontane dall’ideale. Resta però il senso della selezione e il rapporto tra le pellicole scelte e, scrivendo a un giorno dalla conclusione, va lodato il lavoro che il direttore Carlo Chatrian e i suoi collaboratori sono riusciti a fare. Meno opere in lizza, ma anche tempi molto più stretti, cinque giorni contro i soliti dieci. I suggello sarà l’Orso d’oro, scelto tra 15 lavori in gara da una giuria composta da sei registi che l’hanno già vinto.
Il premio maggiore potrebbe stavolta restare in Europa o nel Mediterraneo e andare verso est, da dove arrivano le migliori sorprese, anche se da registi già noti nel panorama. Film sulla pandemia e sull’accentuazione dell’abbrutimento sociale già in corso è Bad Luck Banging or Loony Porn del romeno Radu Jude. L’insegnante Emilia è finita nei pasticci dopo che un video sessuale con suo marito è stato messo in internet da sconosciuti. A piedi attraversa una Bucarest dove i segni del lusso e del consumismo contrastano con quelli dell’abbandono e della povertà e dilagano i litigi stradali. Arriva nel grande cortile della scuola, dove, distanziati e con le mascherine, i genitori in assemblea mettono sotto processo una docente sempre diligente e ben voluta. Attacchi ipocriti e moralisti, con Emilia che diventa vittima due volte (è successo recentemente anche a una maestra italiana) e i benpensanti che la attaccano con argomenti miserevoli mentre solo pochi la difendono. Jude, senza risparmiare inserti spinti e passaggi provocatori, mette alla berlina una società gretta e reazionaria, dove la democrazia è messa a rischio dalle basi, perché non c’è un terreno comune per un confronto.
C’è invece un sottile senso di legame tra le storie che accadono in una città nel bel georgiano What Do We See When We Look at the Sky? di Alexandre Koberidze (già autore di Let The Summer Never Come Again del 2017). È come se Eric Rohmer incontrasse Otar Ioseliani in una cittadina su un fiume. La studentessa di medicina Lisa e il calciatore Giorgi si conoscono per caso e si danno appuntamento al bar sul ponte. Un maleficio è in agguato e trasforma entrambi, rendendoli irriconoscibili, oltre a fargli perdere il loro migliore talento. Entrambi si presentano all’orario convenuto, ma non si riconoscono. Finiranno a lavorare in due locali vicini mentre sono in corso i Mondiali di calcio. Intanto l’assistente di due registi gira per le strade alla ricerca di coppie adatte a un film in preparazione. Un film sull’amore impossibile, il destino, il caso, con un’atmosfera sospesa e leggera, un senso di magico (e la magia del cinema pronta ad agire) e, per una volta, di plurale: i protagonisti non sono soli, vivono circondati da storie e da ragazzi e ragazze che giocano a pallone per puro divertimento.
La memoria è il centro del libanese Memory Box di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige, già premiati a Locarno nel 2005 per A Perfect Day. Una donna libanese che vive in Canada riceve un pacco inaspettato la vigilia di Natale: la sua migliore amica è morta e le vengono restituite le lettere, le fotografie e le audiocassette che si erano scambiate da ragazze negli anni 80 durante la guerra. Per la protagonista e la figlia ventenne è un viaggio all’indietro, per la prima ricordare, per la seconda scoprire ciò che non sa, per entrambe c’è un riscoperta del loro rapporto. Un film toccante e vitale che riesce a fondere forma e contenuto.
Leggerezza e profondità sono caratteristiche del prolifico coreano Hong Sangsoo, il più europeo dei cineasti del suo Paese. Introduction è un breve apologo sul caso e l’amore, un ritorno e una variazione sui temi che gli sono cari.
Merita attenzione, presentato fuori concorso, Per Lucio di Pietro Marcello (Martin Eden), un omaggio originale a Lucio Dalla. Il regista racconta il primo periodo del cantautore bolognese fino ai primi anni 80, utilizzando le canzoni scritte con Roberto Roversi per raccontare la storia d’Italia tra la fine della civiltà contadina, il boom economico, le stragi e l’avvento delle televisioni.