Le parole a volte si prendono gioco di noi. Come diavoletti dispettosi se la ridono vedendo quanto ci possono disorientare certe curiosità lessicali, certe somiglianze, se solo ci prendiamo un attimo per fermarci a osservarle da vicino. Guardiamo bene alla parola bótte, intesa come contenitore per il vino: sappiamo che la lettera deve essere pronunciata chiusa, perché se invece la articoliamo come aperta (bòtte) finiamo dritti in un altro significato, ossia quello di «colpi». Teniamo ora la medesima radice e applichiamo il suffisso che di regola accresce le dimensioni, ad esempio di un oggetto: avremo così bottone, che tuttavia per nostra fortuna grande non lo è mai oltre un ragionevole limite. Alla stessa base applichiamo ora un suffisso che dovrebbe invece ridurre la taglia dell’oggetto in questione, trasformando così la nostra parola in bottino: è l’oggetto dei desideri del ladro, il sogno del pirata, lo scopo che spinge il condottiero a mettere a rischio la propria vita in guerra…
Come si è arrivati ai significati odierni? Da dove sono partite queste parole così apparentemente simili fra di loro?
In questa rubrica ci occupiamo senza pretese soprattutto della lingua italiana, e il nostro idioma offre tantissimi esempi come quelli appena citati. Prendiamo ancora l’aggettivo concio, attributo certo non fra le nostre aspirazioni estetiche… Eppure se vogliamo far bella figura per un’occasione speciale puntiamo anche sull’acconciatura. Come è successo che concio, originariamente sinonimo di «concime», sia finito con l’assumere un significato legato invece alla bellezza? E ancora: quale percorso ha seguito il sostantivo turba (dal latino «folla» e «disturbo») per finire poi con l’odierna turbina o addirittura turbo?
Affascinante. C’è da perdersi per ore nel labirinto della lingua. Ecco perché lo studio dell’origine delle parole, della loro storia e dunque della loro vita – l’etimologia – non è materia solo per i linguisti, è capace per contro di attrarre molti parlanti comuni mossi da pura curiosità e sana sete di sapere. Ecco perché i dizionari etimologici sono strumenti anche oggi molto popolari, che non passano di moda, ma al massimo vengono aggiornati con nuove teorie, e ormai sono consultabili comodamente grazie a internet. «L’etimologia è patrimonio di tutti», ha dichiarato più di un linguista: lo scopo è quello di arrivare a meglio comunicare con gli altri e comprendere meglio noi stessi, proprio attraverso la storia delle parole che è anche la nostra storia.
Scavare nel passato della nostra lingua non è dunque operazione fine a sé stessa, ma è riconoscere di avere tra le mani un patrimonio vivo e vivace, in continua evoluzione, arrivato a noi dopo mille peripezie e viaggi tortuosi, attraverso popoli oggi lontani nel tempo ma anche nello spazio; storie di elevazioni o di inciampi, di dignità acquisita o di capitomboli nel linguaggio più basso.
Per il linguista, applicarsi allo studio etimologico di una parola comporta un approccio di carattere scientifico con fine didattico, divulgativo, anche sociologico e addirittura filosofico (accadeva già nell’antica Grecia, la materia piaceva in particolare ai Sofisti). Eppure interessarsi alle origini delle parole può anche trasformarsi in un gioco: divertirsi e appassionarsi a quelle lettere che si mettono insieme, certo non ci cambia la vita, magari ci aiuta a risolvere più facilmente qualche cruciverba; tuttavia se lo facciamo con entusiasmo e con un briciolo di curiosità, potremmo anche scoprire un mondo fantastico, di misteri che si svelano, di trame che si dipanano.
Utilizziamo ogni giorno centinaia di parole, ma è facile che di loro non sappiamo quasi niente. Invece ci potrebbero condurre a nuovi significati, a sfumature inaspettate, a nuovi tesori per il nostro linguaggio quotidiano. Un bel bottino, a disposizione di chiunque voglia mettersi a cercarlo.