Elio Bollag e Franco Cavani, due persone che più diverse non si può, divise da fattori molteplici, che spaziano dalla politica al passato, dalle amicizie agli interessi. Di religione ebraica, ex commerciante e figura politica, eccentrico opinionista il primo, anarchico, disegnatore, attivista ed eccentrico osservatore il secondo. A unirli, però vi è forse di più di quanto non appaia a prima vista, laddove la «prima vista» è costituita da un battibecco continuo e senza tregua, che li porta ad alzare la voce, a prendersi anche a male parole, seppur con un’inconfondibile patina di affetto.
Sono entrambi figli di una Lugano stravolta dagli anni di speculazione e demolizioni, da una storia recente che ha visto crollare, una dopo l’altra, le vestigia di un’antica eleganza apprezzata internazionalmente, che scaturiva da un mix di lusso e autenticità. E i loro sguardi sognanti raccontano fino in fondo la malinconia per un’atmosfera d’altri tempi, perduta per sempre, un po’ come la giovinezza.
Da questa amicizia-duello è nato anche un libro, se questo non è amore… è un paltò, una raccolta di schizzi satirici che Cavani ha realizzato intorno a Bollag e ai corvi, prendendolo in giro (neanche tanto bonariamente, poiché caro gli è certo fumetto dissacrante francese) là dove fa più male. Bollag, dal canto suo, passa sopra a ogni presunta offesa, rincuorato e protetto dal proprio inscalfibile e ironico narcisismo. Li incontriamo in uno dei luoghi dove li incontra tutta Lugano ogni mattina, in uno dei caffè del centro.
Bollag e Cavani, come è nato il vostro libro?
Bollag: Purtroppo io ho un lato esibizionista, e le vignette di Cavani che mi vedono protagonista invece di offendermi mi hanno esaltato. Ci incontravamo sempre al caffè, e lui, con la sua mano benedetta disegnava qualcosa sul tovagliolo. La mia compagna Rita ha raccolto questi ritratti, e ci siamo ritrovati con la casa piena di disegni. A quel punto Rita, con il suo innato senso dell’ordine, ha pensato di mettere il tutto in un libro. Senza dirmi niente si è dunque recata in tipografia e ci ha fatto una sorpresa.
Voi due litigate apertamente e di continuo, ma non potete fare a meno di incontrarvi ogni mattina… cosa vi lega?
Bollag: Una delle cose che ci lega di più è l’amore per i corvi…
Cavani: Amore è forse un’esagerazione! Detesto queste smancerie sentimentali!
Bollag: Amore per i corvi vuol dire avere allevato dei pulcini, e un corvo è un po’ come una donna che ti mordicchia gentilmente l’orecchio, seppur con quel beccaccio enorme…
Cavani: Per me, visto che sono molto legato alla cultura degli indiani d’America, il corvo e il lupo sono due animali totem per eccellenza. Per alcuni indiani d’America il corvo, oltre ad essere il messaggero tra il qui e l’aldilà, è colui che ha creato l’uomo tirandolo fuori dalla madre terra. Non dimentichiamo poi i corvi di Odino, messaggeri degli dei.
Bollag: Io ho 86 anni, sono ormai vecchio, ma ho sempre cercato amicizie difficili, che completavano una mancanza di me. In lui trovo cose che mi stimolano, ma lui non è mai contento e vince sempre, è abituato a vincere.
Cavani: Guarda che vincere con te è come rubare le caramelle ai bambini, non è che ci voglia granché!
Bollag: Troviamo sempre un argomento intorno a cui litigare, in questo momento è il Molino di Lugano. Io sono contro i Molinari mentre Franco è a loro favore.
Come vi siete conosciuti?
(Bollag scoppia a ridere)
Cavani: Ci siamo conosciuti per motivi… ma perché ci siamo conosciuti?
Bollag: Io ero nel Club del Centro, costituito da dieci commercianti liberali di Lugano. Avevamo organizzato un concorso per la realizzazione di una cartina del centro di Lugano, e Cavani lo vinse. È lì che abbiamo cominciato a romperci le scatole, negli anni 80.
Un’altra cosa che però avete in comune è il fatto di conoscere bene Lugano come pochi e di essere stati testimoni dei cambiamenti degli ultimi decenni…
Bollag: Un tempo in via Nassa c’erano le boutique di lusso ma c’erano anche luoghi normali come l’osteria o il pescivendolo. Da bambino sono stato testimone della distruzione del quartiere di Sassello e quello è stato l’inizio, un sintomo di quella che sarebbe diventata Lugano. A un certo punto è arrivata una pioggia d’oro, e tutto è cambiato… il municipio ha sprecato tutto quello che entrava nelle casse continuando a buttar giù case per farne di nuove. E va ancora avanti.
Cavani: In compenso avremo un nuovo polo sportivo, che per me è solo un’altra forma di speculazione cementizia che svuoterà ulteriormente il centro. Io nel 1968 avevo vent’anni e Lugano era una città magnifica in cui vivere: la gente abitava in centro e si poteva vivere 24 su 24, con un locale che chiudeva alle quattro di mattina e un altro che alle quattro apriva. Vi trovavi gli spazzini o i pescatori che tornavano dal lago e mangiavano spaghetti o busecca. Anche noi giovani, all’epoca debosciati e scapestrati, trovavamo sempre qualcosa da fare. Il clima era molto diverso. La vocazione turistica ne faceva una città estremamente vivibile e interessante.
Bollag: Mio nonno era un albergatore, avevamo l’Hotel Kempler.
Cavani, anche la creatività, nella Lugano degli anni 70 ha avuto dei begli spazi… c’era il Panzini’s Circus, ma anche tanto jazz…
Cavani: Io all’epoca lavoravo tra Lugano e Milano, sia per la televisione, sia per clienti privati. Nel maggio del 1968 apparvero alcune mie pagine su «Linus»: ero andato a Milano in Via della Spiga dove conobbi Oreste Del Buono e Giovanni Gandini, che mi spiegarono come per il mio mestiere non bastasse essere bravi, ma fosse necessaria anche l’assiduità. Io però avevo già cominciato a fare i cartoni animati per la TV, Storie di Franco, e così mi concentrai su altro. Ero un anarchico prestato alla rivoluzione e conoscevo gli esponenti più importanti della controinformazione.
Erano altri tempi anche per l’Italia, perché era appena passato il 68, e ci sembrava di avere definitivamente cambiato il mondo, ma è stata una grossa illusione. Lugano era una città che viveva di grandi fermenti: di qui passavano molti personaggi provenienti dall’Italia, c’erano i contatti. Poi, negli anni 90, l’edonismo sfrenato ha cancellato tutto. Internet, nato per favorire il dialogo tra individui, ha invece creato il contrario, favorendo lo scontro. Penso che essere giovani oggi sia difficile… la globalizzazione ha perfino cambiato il modo di disegnare: grazie ai manga è ormai tutto standardizzato.
Bollag: Ricordate il manifesto «Lugano città del mio cuore»? Lo feci realizzare io dal mio amico e grande grafico Herbert Leupin e lo slogan era mio! Allora l’ottimismo era imperante. La mia attività commerciale rimase aperta dal 1940 al 1998. Un giorno mi trovavo davanti al negozio e guardavo verso la strada, quando passò un mio conoscente ebreo e mi chiese se fossi in attesa del ritorno dei bei tempi, per poi aggiungere che non sarebbero tornati mai più. Quella frase mi fece riflettere… E così è andata. Pensate che un tempo a Lugano c’erano ben 14 negozi che il sabato restavano chiusi.
Ma allora Lugano a questo punto cosa può diventare?
Bollag: Ci si aspetta un’altra pioggia d’oro, ma sarà difficile che venga.
Cavani: Io fondamentalmente sono ottimista, occorre avere nuovamente una visione che permetta a Lugano di sfruttare le sue vere caratteristiche, ma ci vuole un piano, un programma.
Oltre alle attività commerciali e agli edifici, da Lugano sono scomparsi per sempre anche molti ritrovi pubblici. Fra quelli rimasti in piedi, vi è la birreria del Quartiere Maghetti in cui Cavani mise piede per la prima volta a 13 anni, e che anche per questa strana coppia di amici, rappresenta uno degli ultimi collanti con il passato della città, e dunque della propria identità.