Basta una rapida indagine online per rendersi conto di come, al di fuori dei confini della natia Gran Bretagna, ben pochi ascoltatori odierni rammentino il nome dei Big Country, interessante band scozzese a tutt’oggi definibile come unico esempio davvero efficace di perfetta fusione tra pop contemporaneo e sonorità di sapore celtico (il tutto senza disdegnare sfumature a tratti perfino punk rock). E in effetti, benché, a cavallo tra gli anni 80 e i primi 90, i Big Country abbiano ottenuto un discreto successo grazie ad alcuni, azzeccati brani trasmessi su MTV, il termine più sovente impiegato dai nostalgici per descrivere il gruppo resta quello di «vergognosamente sottovalutato».
Un rimpianto acuito dal tragico destino toccato a Stuart Adamson, geniale e introverso frontman (nonché principale compositore) del gruppo – il quale, dopo l’impulsivo trasferimento dalla Scozia a Nashville e un secondo, fallimentare matrimonio, nel 2001 venne trovato impiccato in una stanza d’albergo di Honolulu, dove si era nascosto dopo la sua recente sparizione: un suicidio che tradiva un senso di solitudine e isolamento non soltanto intollerabile, ma anche sottovalutato da colleghi e fan, fino a quel momento solo in parte consapevoli della fragilità psichica di Adamson.
Così, a tutt’oggi, nonostante il successo non esattamente planetario dei Big Country, il cosiddetto «zoccolo duro» di ammiratori su cui la band può ancora contare continua ad ascoltarli con rinnovata commozione, favoleggiando di cos’altro Stuart avrebbe potuto produrre se non se ne fosse andato ad appena 43 anni.
Il medesimo pubblico, in fondo, per il quale è stata concepita la pubblicazione di un prodotto come la ristampa deluxe e ampliata di Why the Long Face (1995), inciso quando il breve periodo d’oro della formazione si era già concluso; e bisogna dire che, in questo caso, la Cherry Red Records offre un esempio magistrale di autentica edizione per collezionisti – un cofanetto composto da ben quattro CD, di cui solo il primo racchiude l’album originale nella sua interezza.
Il tutto in barba alle critiche dei fan più intransigenti, i quali hanno spesso accusato questo disco di voler ammiccare al sound radiofonico e sottilmente commerciale del tempo, e di non reggere quindi il confronto con i migliori sforzi del gruppo, tra cui il precedente The Buffalo Skinners (1993); eppure, basta ascoltare la forza elementale e quasi trascendentale di un pezzo ispirato quale One in a Million – in cui la voce di Stuart raggiunge picchi di raffinatezza assoluta, arrivando a richiamare i virtuosismi proto-celtici della travolgente hit The Seer (1986) – per rendersi conto di come Why the Long Face offra molto più di quanto non appaia a un primo ascolto: lo dimostrano la struggente e amara ironia che pervade pezzi come Charlotte, Wildland in My Heart e Take You to the Moon – impietose fotografie dell’abisso tra amore idealizzato e realtà – o l’aggressivo vigore di Vicious, il quale ricalca addirittura sonorità a cavallo tra Iggy Pop e Lou Reed. Sforzi che dimostrano come Stuart non abbia mai ottenuto la considerazione che le sue doti di compositore avrebbero dovuto valergli: doti qui confermate, una volta di più, da liriche raffinate ed efficaci, contraddistinte da un’apparente semplicità e una disillusa, malinconica profondità (si veda You Dreamer e Sail Into Nothing).
Tuttavia, ciò che impreziosisce davvero questa ristampa è la scelta, da parte dei compilatori, di operare un vero e proprio lavoro filologico nell’arco dei tre CD che completano il cofanetto: laddove il secondo disco offre infatti le B-side e rarità incise dalla band all’epoca di Why the Long Face, il quarto e ultimo raccoglie perfino le versioni demo originali di ogni traccia dell’album. Senza dimenticare la gemma offerta dal terzo CD, riedizione completa del live album Eclectic, registrato nel 1996: e siccome i Big Country sono sempre stati uno dei (pochi) gruppi anni 80 a distinguersi per una presenza dal vivo travolgente e per la pura qualità musicale dei loro show, la vigorosa schiettezza ed energia che brillano lungo l’intera tracklist catturano alla perfezione l’eccellenza di cui Adamson e i suoi erano capaci ogni volta che mettevano piede su un palco, anche quando ciò accadeva davanti a meno di cento persone.